I Pronto Soccorso nel caos. Quando l’accesso alle cure diventa un’odissea 

I Pronto Soccorso nel caos. Quando l’accesso alle cure diventa un’odissea 

Carenza di infermieri, esodo dei medici, strutture inadeguate, insufficienza di posti letto e una rigida riorganizzazione dovuta al Covid-19. I Pronto Soccorso italiani non riescono a sostenere il boom di accessi e sono, di fatto, al collasso. Dalla gestione delle urgenze alla vera e propria presa in carico, sono gravi i disagi che i pazienti – ma anche gli operatori sanitari – stanno vivendo, ogni giorno, da Nord a Sud.

Le segnalazioni dei cittadini

 Secondo il Rapporto Salute Civica 2022 di CittadinanzAttiva, che ha raccolto le segnalazioni dei cittadini di tutto il Paese, sono numerose le criticità nella gestione delle emergenze. Il disagio maggiore è dato dall’eccessiva attesa per completare il percorso in Pronto Soccorso. Nonostante le Linee di indirizzo nazionali sul triage ospedaliero stabiliscano un tempo massimo di attesa di 4 ore per un codice bianco, nei fatti, dall’accettazione alle dimissioni, un paziente può attendere anche molte ore in più.
Un dato allarmante è quello sulla qualità dell’accoglienza delle strutture: gli ambienti sono affollati, talvolta fatiscenti, nelle sale d’attesa in tanti si trovano costretti ad attendere il proprio turno in piedi per diverse ore, spesso mancano i posti letto e i pazienti vengono raggruppati in barelle di fortuna nei corridoi, sottraendole alle ambulanze che in questo modo sono impossibilitate a rispondere alle chiamate di soccorso.
Poi, c’è il grande problema della carenza di personale: nei Pronto Soccorso mancano gli specialisti, e gli operatori sanitari si trovano a gestire un numero elevato di pazienti e a fare turni straordinari massacranti.
Infine, arrivano segnalazioni da parte degli utenti che denunciano i ritardi delle ambulanze alle chiamate d’emergenza e le difficoltà del trasporto in ambulanza.

La relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio

Una situazione confermata dalla recente relazione (dicembre 2022) dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) sulla manovra del Governo, di fronte alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Nel documento si legge che “la questione del personale assume oggi i contorni di un’emergenza nazionale. Il problema riguarda soprattutto gli infermieri e alcune categorie di medici, tra cui anestesisti e specialisti di emergenza-urgenza. La situazione dei servizi di Pronto Soccorso, da tempo preoccupante e divenuta ancora più seria con la diffusione del COVID-19, in congiunzione delle stagioni invernali con i virus influenzali e para-influenzali, è ormai difficilmente sostenibile. Il personale sanitario soffre di burn-out e le remunerazioni dei medici non sono state adeguate nel tempo. Non può essere ancora nemmeno riconosciuta l’indennità specifica per il Pronto Soccorso. L’estensione del regime forfettario per i lavoratori autonomi, previsto dal DDL di bilancio, rafforza l’incentivo a una scelta per la libera professione. Si diffondono forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente, mediate da cooperative, utilizzate soprattutto nei servizi di Pronto Soccorso per far fronte alla domanda (tanto che si è parlato di medici “a cottimo”) […]. Di fronte a questa situazione […] si può dubitare che la capacità attrattiva del SSN possa essere rafforzata. Ne potrebbe derivare la necessità di adottare nuovi interventi, anche nel corso del 2023”.

Autonomia differenziata e accesso alle cure

Varese, Ospedale dei Castelli, Ostuni, Toscana, Abruzzo, Lazio, Sorrento, Campania, Molfetta: sono solo alcuni dei casi di strutture ospedaliere nel caos raccontati dai media nelle ultime settimane. Senza dimenticare i sempre più frequenti casi di mobilità sanitaria, il cosiddetto “turismo sanitario”, ovvero cittadini che, per avere accesso alle cure, sono costretti a spostarsi in un’altra Regione. Il diritto alla salute non è garantito in modo uniforme e la scelta di percorrere la via dell’autonomia differenziata rischia di ampliare ulteriormente le differenze territoriali. Sul tema, sempre l’Ufficio parlamentare di bilancio non ricorre a giri di parole: “i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale sembrano assumere un ruolo ancillare rispetto all’obiettivo della concessione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. La prima linea della nostra Sanità appare dunque in grande difficoltà.

Conclusione

“Senza una ridefinizione dei fabbisogni di personale, con conseguente e definitivo superamento dei tetti di spesa, sarà complicato dare una risposta ai cittadini che continueranno a vedere un impoverimento del servizio pubblico”, si legge nel rapporto “Piano straordinario per l’occupazione” presentato da Funzione Pubblica Cgil.

Purtroppo, se non interverranno modifiche, nel 2025 la spesa per finanziare il Fondo sanitario nazionale in Italia sarà inferiore a quella pre-pandemica (6,1% del Pil). Secondo l’OMS sotto il 6,5% si precipita in zona collasso. L’Italia è stata al 7% nel 2022, nel 2023 scenderà al 6,6%, nel 2024 al 6,2%. Una preoccupante tendenza in continua diminuzione. Subordinare la tutela della salute alle esigenze di compatibilità economica vorrebbe dire, di fatto, negare un diritto sancito dalla Costituzione.

 

di Martina Bortolotti e Valerio Ceva Grimaldi

 

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