Medici, in 3 anni ne mancheranno 40 mila, sono pochi e vanno all’estero

Stipendi più bassi d’Europa, ospedali congestionati e ricorso alla libera professione rendono poco attrattiva la professione

Negli ultimi vent’anni la nostra sanità pubblica è stata al centro delle politiche di disinvestimento. Blocco delle assunzioni e limite alle spese per il personale le hanno fatto da padroni. Ed è per questo che oggi abbiamo a che fare con un servizio congestionato, con una grave carenza di operatori sanitari e condizioni – di cura e di lavoro – ai limiti dell’accettabile. Una delle carenze più strutturali è quella dei medici. Ad oggi ne mancano 19 mila (di cui 11 mila specialisti e 8 mila medici di medicina generale). E la prospettiva non è confortante. A causa dell’elevata età media dei professionisti, prossimi al pensionamento, si prevede che in tre anni raggiungeremo un vuoto di 40 mila medici (25 mila specialisti e 15 mila di medicina generale). Si è tagliato sulle risorse senza pensare che il problema della carenza di professionisti non si sarebbe potuto risolvere in tempi rapidi. Perché non basta fare assunzioni straordinarie, bisogna prima formare i laureati e creare le competenze. Il vuoto è talmente drammatico che il Servizio Sanitario Nazionale negli ultimi tre anni è stato costretto a chiamare medici già in pensione e laureati non specializzati per garantire il servizio. E quando la pandemia ce lo ha fatto comprendere con prepotenza, era troppo tardi. Si è invertita la rotta, sì, ma ora sarà necessario attendere degli anni per colmare il gap.

Un allarmante vuoto di medici specialisti nell’emergenza-urgenza

La questione più delicata è proprio quella che riguarda l’assenza di medici specialisti, che per acquisire le competenze necessitano di almeno cinque anni di formazione. I settori più colpiti, a partire proprio dalle scuole che registrano posti vacanti, sono l’emergenza-urgenza, la pediatria, la ginecologia e la psichiatria. Le ragioni sono tantissime. “Oggi lavorare nei pronto soccorso è estremamente complesso – spiega Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici -. Sono delle vere e proprie trincee di guerra, dove i cittadini sono costretti a stazionare per giorni a causa dell’impossibilità di trovare posti letto e di dare risposte adeguate e tempestive”. E aggiunge: “Questi professionisti hanno in mano non la salute ma la vita delle persone e, nonostante questo, vengono trattati come anelli di una catena di montaggio, senza la minima autonomia professionale nel prendere le decisioni riguardo il paziente in cura”. 

Una competizione “sleale”

Ma le condizioni di lavoro e del servizio non sono l’unica causa. I buchi di personale si spiegano anche con la messa in atto, da parte del Servizio Sanitario Nazionale, di una competizione “sleale”. I medici non specializzati, convocati in extremis, sono inquadrati come liberi professionisti e pagati ad ore con cifre esorbitanti: tra le 80 e le 100 euro per un’ora. “Questo vuol dire – prosegue Filippi – che per un turno di notte di dodici ore si viene pagati 1.200 euro. Con soli quattro turni in un mese se ne portano a casa 4.800”. Inevitabili le ripercussioni: molti medici specialisti rinunciano spontaneamente al contratto di lavoro dipendente. Perché dovrebbero lavorare di più e guadagnare meno nonostante siano maggiormente qualificati? Questa tendenza, però, va a scapito della continuità assistenziale e dell’organizzazione del servizio. Come invertirla allora? Secondo il segretario dei medici è necessario vietare al Servizio Sanitario Nazionale di ricorrere ai liberi professionisti e alle cooperative. Ma come gestire le attuali carenze di medici? “Con un intervento strutturale – sostiene Filippi -. Se cominciamo a vietarlo e l’unica via d’ingresso in sanità pubblica rimane il lavoro dipendente, col tempo la situazione si normalizzerà. E invece il Governo che fa? Introduce la Flat tax che favorisce proprio i contratti libero professionali”.

 Un reclutamento “farraginoso”

Un’altra delle principali cause della fuga di medici è da ricercarsi, secondo Filippi, alla radice: nel processo di reclutamento, “troppo farraginoso. I laureati sostengono un doppio concorso: quello per entrare nella scuola di specializzazione e, una volta specializzati, quello per entrare nel Servizio Sanitario Nazionale. “Un processo che produce degli sprechi assurdi. Noi proponiamo contratti di formazione-lavoro, secondo cui i laureati devono affrontare un unico concorso per la specializzazione ed entrare poi in servizio attraverso delle graduatorie da cui le aziende possono attingere senza dover ripetere tutte le volte le selezioni. Questo fidelizzerebbe molto i professionisti”.

Medici in esodo all’estero

Ultimo ma non per importanza è il disarmante dato sugli stipendi: i medici italiani sono i meno pagati d’Europa. Questo comporta un inevitabile esodo verso l’estero che paghiamo a caro prezzo. Basti pensare che lo Stato spende per ogni medico da formare circa 30 mila euro l’anno. “Stiamo regalando delle Ferrari agli altri Stati. Li formiamo ma non li attiriamo, sprecando risorse. Soprattutto perché non se ne vanno per una scelta professionale, che sarebbe condivisibile; se ne vanno perché non trovano condizioni adeguate di lavoro”. 

Da dove ripartire?

Se non vogliamo continuare a mettere le toppe sui buchi e a veder “espatriare” i nostri professionisti, è assolutamente necessario cominciare a rendere attrattiva la professione medica nel nostro Paese, e reclutare più specialisti. Quest’ultimo è l’unico punto a cui i Governi, negli ultimi tre anni, hanno dato risposta. La situazione lo rendeva necessario. Si è infatti passati da 6.800 contratti di formazione specialistica a 13 mila ogni anno, in linea con il fabbisogno attuale. Adesso però avremo bisogno di attendere cinque anni per raccogliere i primi frutti di questo intervento. E nel frattempo dovremo continuare con le logiche dell’urgenza.

“Bisogna prima di tutto potenziare l’assistenza territoriale avviando un piano di assunzioni e sbloccando finalmente i tetti di spesa al personale”, spiega Filippi. Ma sarà necessario intervenire anche sui pronto soccorso, perché “quando una nave sta affondando, prima tappo il buco, poi capisco come farla navigare bene”. È con la vita delle persone che abbiamo a che fare, con il diritto alla salute dei cittadini. “Se sottraiamo alle persone la possibilità di curarsi quando stanno rischiano la vita, siamo al punto estremo dello scollamento sociale. Perché non stiamo parlando più di buste paga, non stiamo parlando più di trovare un’occupazione, stiamo parlando di salvare la vita delle persone”.

 

di Martina Bortolotti

 

Rapporto Fp Cgil: 1 milione e 200 mila assunzioni per salvare i servizi ai cittadini