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I “mammoni”, giovani italiani verso un futuro ad ostacoli

Sono noti a tanti come “i mammoni”, i giovani ragazzi italiani. Additati dal resto del mondo come “choosy”, che starebbe a dire “troppo esigenti”, inaccontentabili. Stiamo parlando di quegli stessi ragazzi, sotto i 35 anni, che si sono affacciati al mondo del lavoro nel pieno di una crisi economica mondiale, quella del 2008, e che hanno sfidato un elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile nel Paese. Sono quegli stessi ragazzi che, quando hanno avuto la “fortuna” di trovare un lavoro, hanno dovuto accontentarsi di salari al limite della soglia di povertà. E che adesso pagano in pieno le conseguenze economiche, sociali ed occupazionali della pandemia in corso.

Sempre meno lavoro, e sempre più precario…

Il tasso di disoccupazione giovanile con la pandemia è arrivato al 33,8%. Un ragazzo su tre è senza lavoro. Un dato sconcertante. E tra i pochi eletti a trovare un’occupazione manca la stabilità. Il lavoro è infatti molto spesso precario. I contratti a tempo indeterminato, negli under 35, sono calati dell’8,6% dalla crisi del 2008.

…e pagati meno.

I salari medi mensili degli under 30 sono al limite della soglia di povertà. Variano, infatti, tra i 786 e i 1.198 euro, secondo l’Inps. E sono ancora in calo. Secondo i dati Ocse, tra il 1990 e il 2020 l’Italia è l’unico Paese europeo dove i salari sono diminuiti invece che aumentati. Praticamente, oggi un giovane guadagna meno di quanto si guadagnasse oltre 30 anni fa: con esattezza il 2,9% in meno. Non ci saremo guadagnati un buono stipendio… ma certamente un ultimo posto in classifica, con un enorme scarto con la penultima classificata, la Spagna, che in 30 anni ha aumentato gli stipendi del 6,2%. Per non parlare poi di Paesi come la Francia, la Grecia, l’Austria, la Germania i cui stipendi dal 1990 ad oggi sono aumentati tra il 25 e il 35%.

Il costo della vita e gli affitti alle stelle.

E non stiamo considerando che mentre i salari diminuiscono, il costo della vita sale e che quindi lo scarto tra il benessere degli anni ’90 e quello di oggi è ancora più abissale. I giovani di oggi raggiungono il 17% di reddito in meno rispetto alla generazione dei propri genitori. Gli affitti nelle città si aggirano intorno agli 800 euro (aumentando di molto in realtà particolarmente costose come Milano, Firenze e Roma, le tre città con i mercati immobiliari più cari d’Italia).

Il limbo delle pensioni: tanti anziani e calo record delle nascite.

E poi c’è il tema scottante, quello delle pensioni. Quello per cui i giovani si sentono continuamente dire “Tanto non la vedrai mai…”. Secondo i dati Ocse, infatti, chi accede adesso al mercato del lavoro in Italia andrà in pensione in media a 71 anni di età. Un dato tra i più alti d’Europa dove la media sarà di 66 anni. La questione è legata al criterio dell’età pensionabile, ma ci sono problemi anche di carattere economico. In un sistema pensionistico che funziona deve esserci un costante equilibrio tra chi versa i contributi e chi li riceve, ovvero tra lavoratori attivi e pensionati. Ma non è ciò che sta accadendo in Italia negli ultimi anni. Il Paese sta invecchiando, sono sempre di più gli anziani e sempre meno le persone che fanno figli, anche a causa della crisi economica e della difficoltà di realizzare i propri progetti. Nel 2020, infatti, si è registrato il record minimo di nascite (405mila). Per ogni bambino ci sono oltre 5 anziani. E questo cosa significa per il mondo del lavoro? Significa che il numero di pensionati aumenta velocemente, di contro il numero di giovani lavoratori attivi diminuisce, gli stipendi sono molto bassi e non si riesce a fronteggiare i pensionamenti. Uno squilibrio che diventa sempre più netto.

 

E allora – ci sarebbe da chiedersi – come dovrebbero i cari “mammoni” staccarsi dal grembo materno e spiccare il volo verso l’indipendenza? Con quale reddito potrebbero mettere in piedi e veder realizzare i propri progetti di vita? Una domanda la cui risposta della politica, da quasi 15 anni, è un silenzio tombale. I giovani di oggi vivono nell’incertezza, del presente e del futuro. Ricordiamolo ogni volta che avremo voglia di semplificare l’interpretazione della realtà.

 

di Martina Bortolotti

 

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