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Cervelli in fuga, in Italia non c’è spazio per i talenti

Un milione in dieci anni, gli italiani espatriati all’estero in cerca di una vita migliore. Tra questi molti giovani laureati: il 34% di chi ha completato gli studi universitari presta le proprie competenze fuori dall’Italia. La cosiddetta “fuga di cervelli”, o “brain drain”. Pare proprio che l’Italia non offra le condizioni per trattenere i talenti, e nemmeno la pandemia ha arrestato il fenomeno, che è in costante crescita.

Cervelli in fuga: qualche dato.

In dieci anni sono espatriati dall’Italia un milione di italiani, con un ritmo sempre crescente che vede, dal 2015, un espatrio annuale di oltre 100 mila persone. Tra questi sono tanti i giovani: dal 2008 al 2020 sono espatriati 355mila ragazzi tra i 25 e i 34 anni. E appare chiaro che la causa principale è quella lavorativa. Negli ultimi 8 anni i trasferimenti per nuove migliori opportunità lavorative sono aumentate del 41,8%, secondo i dati aggiornati della Corte dei Conti. Il 34% del totale dei laureati italiani sceglie l’estero. Questo espatrio costa all’Italia una perdita di 14 miliardi di euro l’anno. Nemmeno la pandemia ha arrestato il fenomeno. Nonostante i vari lockdown, nonostante il fatto che molti abbiano perso il posto di lavoro in questo clima di incertezza e nonostante numerose aziende abbiano adottato soluzioni di smartworking, solo 43.229 persone hanno preso la decisione di rientrare.

Perché i giovani fuggono dall’Italia

Quali sono le ragioni che spingono i nostri giovani talenti a cercare fortuna altrove? Il problema è la poca ospitalità che il nostro Paese offre, sotto diversi punti di vista. Il primo problema in cui un giovane si imbatte è l’accesso al mondo del lavoro. La disoccupazione, soprattutto giovanile, arriva oggi a sfiorare il 34%. Praticamente un giovane su tre non lavora. E nemmeno la laurea sembra essere una discriminante positiva. Il possesso del titolo di studio universitario non garantisce maggiori possibilità di accesso al mondo del lavoro rispetto a chi ha un livello di istruzione inferiore. Infatti, dei laureati solo il 68% riesce a trovare un impiego, contro la media europea dell’85%. Infine, chi entra nel mondo del lavoro non viene valorizzato come dovrebbe, ritrovandosi con retribuzioni inadeguate. Il salario medio italiano è in discesa da 15 anni e sfiora oggi la soglia minima di povertà.

 

Uno scenario certamente poco suggestivo per chi ha bisogno di costruirsi un futuro. Abbiamo bisogno di investire nel benessere delle persone, per arrestare questo circolo vizioso. L’esodo cui stiamo assistendo non fa altro che alimentare ulteriormente i già presenti squilibri tra Stati. E più talenti se ne vanno e più sarà difficile costruire benessere. E meno benessere saremo in grado di offrire, e più i talenti si allontaneranno. In cerca di un futuro migliore.

 

di Martina Bortolotti

 

I “mammoni”, giovani italiani verso un futuro ad ostacoli