Si tirano fuori. Si rinchiudono nelle loro stanze. Soli, sfiduciati e rassegnati. Sono i giovani “Hikikomori”, un termine giapponese che significa “stare in disparte” e viene utilizzato per individuare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale, rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori. È un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70% e il 90%), e che secondo l’associazione Hikikomori Italia, sarebbero stimati tra i 120 e i 150 mila casi nel nostro paese.
Un fenomeno che registra una recrudescenza in questi anni di pandemia, trovando peraltro terreno fertile in un paese che registra un alto numero di Neet, ovvero di chi non studia e non lavora. Nei passati due anni, infatti, fatti di chiusure a intermittenza e dialitica a distanza, l’Italia ha tenuto chiuse le scuole superiori per 90 giorni contro una media di 70 dei Paesi OCSE, secondo l’ultimo rapporto “Education at a glance” dell’istituto parigino. Gli studenti hanno dovuto cioè rinunciare al 45% dei giorni scolastici in presenza.
Un dato che, come anticipato, peggiora alla luce del fatto che in Italia un giovane su quattro tra i 18 e i 35 anni non studia e non lavora. Si stima siano più di tre milioni, collocando il nostro paese al quartultimo posto nell’Unione Europea. Scomponendo per fasce di età fra i 15 e i 19 anni, i neet sono 1 su 10, salgono a 1 su 3 fra i 20 ed i 24 anni. È in queste fasce di età che il nostro Paese ha tassi superiori al 70% rispetto alla media europea. Per arginare questa piaga il governo ha varato un “Piano Neet”, formalizzato da un decreto congiunto Lavoro-Politiche giovanili, che punta a ridurre gli oltre tre milioni nella fascia di età 15-34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. L’obiettivo è ridurre l’inattività dei Neet tramite degli interventi suddivisi in tre macro fasi: emersione, ingaggio e attivazione.
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