In occasione della Giornata internazionale degli infermieri abbiamo incontrato Monica Breda, infermiera coordinatrice del Pronto Soccorso dell’ospedale di Tradate, in Lombardia, che nelle scorse settimane è partita da volontaria alla volta dell’Ucraina per dare il suo aiuto.
L’esperienza di Monica è cominciata con un contatto. L’Associazione Maidan di Buscate chiedeva la disponibilità di qualche infermiere per andare in missione in Ucraina. Dovevano partire dei pullman e portare lì aiuti umanitari donati dalle persone, per poi tornare in Italia con i profughi e poterli accogliere in strutture adeguate e predisposte. Monica si è immediatamente attivata e attraverso i suoi contatti (il gruppo del 118, dell’ospedale e quello della Cgil) è riuscita a coinvolgere una decina di infermieri. “I pullman dovevano essere tre o quattro, invece siamo arrivati ad averne dieci carichi di cose da mangiare, da bere, farmaci, vestiti”, ci racconta.
Un viaggio lungo ma senza grossi imprevisti. “Siamo andati prima in Romania e abbiamo dormito una notte al confine. La mattina dopo, siccome non tutti avevamo il passaporto per poter entrare in Ucraina, alcuni pullman sono rimasti al di qua del confine e altri sono passati dall’altra parte. Quelli di noi che sono entrati in Ucraina sono stati a Storozinec, un paese a circa 40 km dal confine, dove c’è un centro di accoglienza”.
Secondo il racconto di Monica, l’aria che si respirava era surreale, post-apocalittica. Carri armati per strada, camion dell’esercito, strade completamente deserte, case sbarrate. Impatto diverso da quello percepito, invece, nel centro di accoglienza, dove le persone erano fortemente commosse nel veder arrivare gli aiuti e, in segno di riconoscenza e gratitudine, nonostante la stanchezza e le traversie, hanno intonato l’inno italiano e hanno aiutato lo staff a scaricare i pullman. “Stiamo parlando di 470 persone che avevano vissuto dei giorni particolari. Non erano feriti ma erano provati. Alcuni avevano la febbre, alcuni vomito, nausea e hanno avuto bisogno di assistenza. La cosa che più mi ha fatto impressione è che non scappavano con delle valigie, ma al massimo con delle buste di plastica con le coperte”.
Ma è stato proprio quando il più sembrava fatto e si è partiti tutti insieme alla volta dell’Italia che i volontari hanno riscontrato grossi problemi al confine con l’Ungheria, in particolare con i numerosi ostacoli burocratici nel processo di gestione del flusso di profughi. È stato anche grazie all’impegno e alla presenza delle volontarie e dei volontari italiani che questi ostacoli sono stati superati.
Nei pullman, carichi di quasi 500 persone, c’erano anche molti bambini. I volontari dovevano trovare il modo di intrattenerli per tutto quel tempo, impresa non semplice. “Ci siamo messi a cantare “Il coccodrillo come fa”. Poi, siccome loro sono fissati con Al Bano, abbiamo cantato Felicità. Hanno voluto cantare anche Bella ciao!”, racconta Monica ridendo. E aggiunge l’aneddoto che probabilmente l’ha più colpita ed emozionata: “All’arrivo in Italia, due donne del Donbass, madre e figlia, che continuavano a ringraziarmi, mi hanno abbracciato, mi hanno dato una moneta e mi hanno detto “Questa ti porterà fortuna”. Loro che non avevano niente”.
Altra tappa cruciale della missione dell’Associazione Maidan era l’arrivo in Italia e l’accoglienza dei profughi ucraini. Come ci racconta Monica, una volta arrivati al centro della Croce Rossa di Bresso, alcuni di loro avevano qui parenti o amici con i quali hanno potuto ricongiungersi e dai quali hanno potuto trovare ospitalità. Altri invece non avevano nessuno: questi ultimi sono stati sistemati in parte in un hotel di Milano e in parte in un monastero in provincia di Torino. “È difficile per loro. Fino a che la situazione non gli permetterà di tornare in Ucraina, sono tutte persone che qui in Italia non hanno famiglia, quindi bisognerà capire sul lungo termine come poterle sistemare”. Sono tante le incertezze legate al fenomeno di un flusso migratorio con caratteristiche completamente differenti da quelle cui siamo abituati (un fenomeno che il Capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, ha approfondito con Spazio Pubblico). Qui non si tratta di persone che scappano dalla propria terra in cerca di migliori opportunità, ma di persone che non vedono l’ora di tornare finalmente a casa.
di Matteo Mercuri e Martina Bortolotti