L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di NEET, giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano né studiano. Nel 2020 sono più di 3 milioni, prevalentemente donne (56%), del Sud (39%), con il diploma o titolo di studio inferiore (74%) e sopra i 25 anni di età (61,1%). Si tratta per lo più di giovani scoraggiati, inattivi e che hanno rinunciato a cercare un’occupazione. È questo il quadro che emerge dal Report “NEET tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche”, presentato oggi a Roma da Cgil ed ActionAid.
Le disuguaglianze territoriali
Nel Sud Italia c’è la più alta presenza di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano (39%). Nel Centro Italia sono il 23% e al Nord il 19%. Al primo posto c’è la Sicilia con il 40,1% di NEET, poi la Calabria con il 39,9%, a seguire la Campania con il 38,1%. Nel Centro Italia è soprattutto il Lazio ad avere una forte presenza di NEET (25,1%). Al Nord, invece, la regione meno virtuosa è la Liguria con il 21,1% di NEET, poi il Piemonte (20,5%) e a seguire la Valle D’Aosta (19,6%). In ogni caso, tutte le regioni italiane superano la media europea del 15%.
Le disuguaglianze di genere
Nella popolazione dei NEET la maggioranza è femminile, con oltre 1,7 milioni di donne (56%). Ma il dato più significativo è quello secondo cui il 26% di NEET sono genitori, ma di questi solo il 3% sono padri, contro il 23% delle madri. Inoltre, il 27% di donne NEET sono inattive, ovvero non sono alla ricerca di un’occupazione e non si dichiarano disponibili ad accettare una proposta.
I giovani rinunciano al proprio futuro
Uno dei dati più significativi che emerge dal Report è quello secondo cui 2 NEET su 3 sono giovani scoraggiati che hanno smesso di cercare lavoro. Soprattutto giovani tra i 30 e i 34 anni con precedenti esperienze lavorative ma che hanno rinunciato a proseguire.
Il quadro fornito dal Report di Cgil e ActionAid evidenzia una situazione di esclusione sociale data anche dalla resistenza di retaggi culturali duri a morire che le politiche messe in campo finora non sono riuscite a scardinare. Tra questi quello che vede le donne prevalentemente dedicate ai lavori di cura della famiglia. Ragazze e ragazzi sono per la nostra società una risorsa inespressa che se valorizzata darebbe un contributo centrale alla crescita del Paese. E se quelli con titoli di studio inferiori spesso rinunciano a formarsi e lavorare, d’altra parte una grande percentuale dei laureati abbandona la propria terra in cerca di una prospettiva migliore. Un danno per il Paese che ci pone davanti a un dato impossibile da ignorare: dobbiamo fare di più. Per l’affermazione dei giovani e per il bene della collettività.
di Martina Bortolotti
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