Unione degli Universitari: “La politica parla di noi giovani, ma non parla a noi”

La rappresentante dell’UDU, Camilla Piredda: “I giovani prodigio non sono la norma. La vita vera è piena di difficoltà e sacrificio”

I giovani: uno dei temi più chiacchierati, almeno a livello teorico, dalla politica e dei media negli ultimi anni. Si racconta il loro disagio in un futuro incerto tra crisi occupazionali, ambientali e pandemia. Eppure, nei fatti, rimangono inascoltati. E la narrazione più comune continua a delineare la fotografia del giovane scansafatiche o performante, prodigio o mammone. Come non esistessero vie di mezzo. Come se fosse bianco o nero. Ne abbiamo parlato con Camilla Piredda, Rappresentante dell’Unione degli Universitari (UDU).

Si racconta di giovani generazioni sempre più distanti dalla politica, dal sindacato, dalle battaglie civili. È vero? E quali sarebbero le ragioni?

Nelle ultime elezioni politiche il vero vincitore è stato l’astensionismo e tra milioni di persone che non hanno espresso il proprio voto, la maggioranza è rappresentata dai giovani. La politica parla di noi, ma non parla a noi: non capiscono quali siano realmente i nostri bisogni e quali le nostre necessità. 

La società di oggi è incentrata sul raggiungimento di obiettivi: ci vuole produttivi e competitivi, multitasking e resistenti allo stress. Secondo te questo ha una correlazione con l’aumento di disagi e disturbi mentali tra i giovani?

La retorica del merito, la performatività che ci viene continuamente richiesta, il dover sempre raggiungere l’eccellenza e il fatto di essere educati all’eccellenza: tutto questo non fa altro che deteriorare il benessere psichico della categoria studentesca, e in generale dei giovani del nostro Paese. In Italia non abbiamo gli stessi mezzi per raggiungere gli stessi obiettivi, ma invece portiamo tutti e tutte il peso delle pretese, delle aspettative che ogni giorno dobbiamo tentare di soddisfare. 

Il caso della studentessa che si è tolta la vita nell’Università di Milano purtroppo non è isolato e ci parla di una società che sta sbagliando qualcosa. Di cosa sono figlie queste tragedie? Di chi sono le responsabilità?

La studentessa di Milano che ha deciso di porre fine alla sua vita, dichiarando la convinzione di aver fallito nel suo percorso accademico, è l’effetto delle storture della nostra società. Purtroppo il suo non è un caso isolato e insieme a tanti altri episodi simili ci dimostra quanto il percorso universitario sia spesso portatore di malessere tra gli studenti e le studentesse. Il mondo accademico non rispetta chi lo abita e ci logora lentamente. Quello che potremmo fare è intervenire sugli ambienti interni agli atenei, cambiare il sistema di valutazione, introdurre dei percorsi di prevenzione e di assistenza al fine di fornire strumenti che siano di supporto a studenti e studentesse. Bisogna assolutamente invertire la tendenza dei media che ci riportano continuamente le storie di “giovani prodigio”, che si laureano nella metà del tempo, con il massimo dei voti mentre fanno altre mille cose. Questa non è la norma. Dovremmo invece iniziare a raccontare la vita vera, le storie di tutti i giorni piene di difficoltà e sacrificio. 

Le difficoltà dei giovani fanno notizia. Basti pensare al video divenuto virale in cui una ragazza parla delle scandalose condizioni lavorative a cui sono sottoposti soprattutto gli under 35. Tutti ne parlano, ma chi se ne sta occupando realmente?

Nel momento in cui noi giovani ci opponiamo ad un mercato del lavoro che non è ospitale per noi e che ci costringe a forme contrattuali atipiche e senza tutele, nel momento in cui ci lamentiamo di quello che ci aspetta dopo il percorso accademico, veniamo puntualmente descritti come “scansafatiche”, come persone che non hanno voglia di impegnarsi. Dovremmo decostruire questa retorica ed elogiare i giovani che hanno il coraggio di abbandonare un posto di lavoro e denunciare forme contrattuali indegne e assenza di tutele. Quello che oggi può essere utile è creare spazi di confronto e dialogo continuo tra le parti sociali e politiche del nostro Paese per creare dei percorsi di introduzione al mondo del lavoro che tutelino davvero le nuove generazioni. 

Da dove bisognerebbe partire per rispondere ai bisogni di giovani con la voglia di realizzarsi e creare la propria strada?

Credo ci siano due strade percorribili: in primis è necessario ripartire dall’istruzione, dalle scuole dell’infanzia fino agli istituti accademici, rendere accessibile per tutti e tutte la possibilità di studiare, ridare lustro alle università e al loro ruolo primario, ovvero quello di creatrici di coscienze critiche e di persone consapevoli. In secondo luogo, serve sviluppare una serie di politiche pubbliche che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e intervenire in maniera concreta su quest’ultimo. La flessibilità contrattuale e lavorativa ad oggi per noi giovani non è una scelta, è l’unica strada alla quale siamo obbligati. 

Cosa immagini per il tuo futuro? Da rappresentante dell’Udu quali obiettivi ti poni?

Tante volte mi sono chiesta quale sarebbe stato il mio futuro e attualmente, insieme a tanti altri giovani come me, condivido la più totale incertezza al termine del percorso universitario e abbiamo quasi il timore di uscire da questo mondo. Per noi non esistono percorsi prestabiliti e sicuri come quelli di cui magari hanno potuto usufruire le vecchie generazioni. Chiediamo quindi la possibilità di provare a lavorare insieme, con un’ottica intergenerazionale, alla costruzione di un sistema di società e ad un Paese diversi da quelli che conosciamo oggi. 

 

di Matteo Mercuri

 

 

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