Il 2 agosto 1980, alle 10:25 del mattino, una devastante esplosione scosse la stazione ferroviaria di Bologna, segnando una delle pagine più oscure della storia italiana del dopoguerra. Un attentato terroristico nel quale persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. Erano anni particolarmente caldi, erano anni agitati, erano gli “anni di piombo”. Lo Stato era in guerra aperta con la criminalità organizzata, gruppi eversivi di destra e sinistra mettevano a segno rapimenti e attentati per destabilizzare il Paese. Da nord a sud l’Italia era completamente attraversata da tensioni sociali, intrighi e questioni irrisolte. È questa la cornice in cui inserisce la tragedia di Bologna.
Fu una vera e propria strage. Una bomba, nascosta in una valigia abbandonata nella sala d’attesa di seconda classe, distrusse una vasta parte dell’edificio della stazione, colpendo duramente i viaggiatori e i lavoratori presenti. Un episodio macabro, del quale a 44 anni di distanza sappiamo ancora troppo poco. La strage di Bologna venne attribuita a un’organizzazione neofascista. Sebbene alcuni responsabili siano stati identificati e condannati, permangono ancora ombre e domande irrisolte su mandanti e accordi sospetti. Le indagini e i processi successivi, infatti, hanno rivelato una complessa rete di complicità e coperture che ha ulteriormente sconvolto l’opinione pubblica.
L’attentato non fu solo un attacco alle vittime innocenti, ma anche un attacco feroce alla democrazia e alla quotidianità degli italiani. Una ferita insanabile, come ricorda oggi il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che aggiunge: “Deve essere un monito permanente da consegnare alle giovani generazioni unitamente ai valori della risposta democratica della nostra patria, che hanno consentito il riscatto e, nell’unità della nostra comunità, la salvaguardia del bene comune”.
Di Matteo Mercuri