La Costituzione entra nei luoghi di lavoro. Queste le parole che accompagnarono l’approvazione della legge 300 del 1970, meglio conosciuta come Statuto dei Lavoratori, che oggi compie 51 anni. E proprio come la Costituzione, lo Statuto rimane il punto di riferimento del diritto del lavoro, nonostante i cambiamenti intervenuti a diversi livelli nel corso di questo oltre mezzo secolo di vita.
Per farne un bilancio e per guardare in prospettiva ne abbiamo parlato con il sociologo Domenico De Masi e con il professore di diritto del lavoro, Andrea Lassandari.
“Lo Statuto è come la Costituzione, i principi sono saldi”
Intervista al sociologo Domenico De Masi: “Ora va ritoccato tenendo conto di cosa sta per piovere sul mercato del lavoro: saremo travolti dal progresso tecnologico”
“Il diciannovesimo secolo e, ancor di più, questi primi venti anni del nuovo millennio hanno rappresentato per la società e il lavoro un periodo paragonabile a un’era geologica. I cambiamenti intercorsi sono stati tanti e rilevanti. Ma lo Statuto è come la nostra Carta Costituzionale. I principi sono saldi ma le declinazioni possono e devono cambiare in ragione dei tempi”. Per celebrare i 51 anni dalla approvazione della legge 300, a tutti nota come lo Statuto dei Lavoratori, abbiamo parlato con il sociologo Domenico De Masi.
Professore lo Statuo fa 51 anni di vita. Cosa ha rappresentato e cosa ancora può rappresentare?
Lo Statuto dei lavoratori ha rappresentato la punta massima di conquista dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori ma allo stesso tempo ha segnato anche una inversione di tendenza: da quel momento, progressivamente, la lotta di classe dei poveri contro i ricchi ha ceduto alla lotta di classe dei ricchi contro i poveri. A partire dagli anni immediatamente successivi all’approvazione dello Statuto, siamo nei primi anni ‘70, c’è stata una rivincita del capitale che ha indebolito il movimento dei lavoratori. Come ha detto recentemente Warren Buffett: la lotta di classe esiste, siamo noi ricchi che la stiamo conducendo contro i poveri e la stiamo vincendo.
E oggi dove ci troviamo?
Lo Statuto rappresenta il punto finale di una marcia trionfale. Oggi invece siamo in una fase di regressione: il capitalismo ha adottato tutti gli strumenti possibili, leciti e illeciti, per rifarsi nei confronti dei lavoratori, fino al paradosso di usare la sinistra contro se stessa. Pensiamo solo al periodo di Matteo Renzi che è riuscito ad abolire l’articolo 18, lì dove neanche l’imprenditore Berlusconi ci era riuscito.
Per interrompere questa regressione bisogna rivedere lo Statuto?
Lo Statuto è come la Costituzione, si tratta di ritoccarlo sulla base di quello che è avvenuto negli anni e, soprattutto, tenendo conto di cosa sta per piovere sul mercato del lavoro. Saremo travolti da un ulteriore progresso tecnologico, penso soprattutto all’intelligenza artificiale, che determinerà una riduzione del lavoro a favore delle macchine. Fra dieci anni avremo una composizione del mercato del lavoro radicalmente diversa, con una prevalenza di lavoro intellettuale a discapito di quello manuale. E il lavoro cognitivo richiede regole completamente diverse. Su questo fronte dovremmo riaggiornare lo Statuto. E poi mi faccia aggiungere una cosa…
Prego.
Abbiamo la necessità assoluta di ridurre l’orario di lavoro. Un italiano lavora 400 ore all’anno in più rispetto a un lavoratore tedesco e a conti fatti in Germania si registra un tasso di occupazione superiore di 15 punti percentuali rispetto al nostro. Bisognerà, alla luce dei cambiamenti che interverranno, ristrutturare il mondo del lavoro e questo andrà redistribuito perché avremo un’offerta di molto superiore alla domanda.
E il sindacato in questo che ruolo può giocare?
In tutto questo il sindacato deve studiare e agire di conseguenza. Non può andare a rimorchio dei cambiamenti strutturali ma deve prevederli e prevenirli. Deve avere contezza delle trasformazioni che interverranno affinché non avvengano contro i lavoratori ma a favore di questi.
“Statuto apice della protezione dei lavoratori, colpito poi da precise scelte politiche”