In 3 mila per controllare 4 milioni di aziende, la sicurezza sul lavoro passa da più pubblico

La recrudescenza delle morti sul lavoro registrata negli ultimi tempi, arrivate alla spaventosa media di oltre le due al giorno, secondo i dati Inail relativi ai primi tre mesi dell’anno, ha bisogno di un cambio di prospettiva. La tragica fine di Luana D’Orazio, la giovanissima operaia tessile morta risucchiata alle spalle da un orditoio in un’azienda della provincia di Prato, ha fatto riemergere una generale indignazione su di un fenomeno mai “archiviato”. Ma è tempo di aggredire questa deriva partendo da chi, nelle condizioni date, si occupa di garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Lo stato in cui versano le istituzioni pubbliche adibite alla tutela del binomio salute-sicurezza mostrano, infatti, il vuoto della retorica che si cela dietro lo sdegno di un andamento che, per stare al solo 2019, ha registrato una media di oltre tre morti al giorno: 1.179.

L’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), l’istituto nato con il Jobs Act per il contrasto all’illegalità e la promozione della sicurezza ma mai effettivamente ‘decollato’ – in queste ore il ministro Orlando starebbe pensando a un cambio ai vertici -, ha presentato a fine aprile il suo rapporto annuale, mettendo nero su bianco l’impoverimento occupazionale dal quale è afflitto. Al 31 dicembre del 2020, infatti, si legge nel rapporto, “la consistenza del corpo ispettivo effettivamente adibito alla vigilanza era complessivamente pari a circa 3.000 unità (di cui 1.021 ispettori dell’Inps e 246 ispettori dell’Inail) oltre il 10% delle quali prevalentemente adibite a funzioni di polizia giudiziaria (militari del Comando Carabinieri per la Tutela del lavoro)”.

Un numero che, pur non tenendo conto del personale delle Asl che svolge attività di controllo in coordinamento con l’Ispettorato, risulta risibile non solo rispetto alla mole di lavoro ma ancor di più in calo del 20% rispetto alla dotazione di partenza dell’istituto.
Guardando i dati, e contemplando la situazione emergenziale determinata dalla pandemia, nel 2020 si sono registrate circa 80 mila ispezioni e una tutela di lavoratori interessati da irregolarità pari a poco meno di 270 mila.

Interessante sottolineare che l’attività congiunta Inps, Inail e Inl ha determinato il recupero di contributi e premi evasi pari a oltre 880 milioni di euro, riscontrando illeciti nei confronti di 55 mila azienda, con un tasso di regolarità pari al 70%. Dato che dimostra come, seppur pochi, gli ispettori incrocino quasi sistematicamente irregolarità in tutti i campi di loro competenza: lavoristico, previdenziale e assicurativo.

I dati del rapporto segnalano inoltre poco meno di 62 mila ispezioni che hanno hanno riguardato la vigilanza in materia di lavoro, con una quota di irregolarità rilevata nel 66% dei casi esaminati. Più nel dettaglio, il solo Ispettorato del Lavoro denuncia un numero elevato di irregolarità: ne sono emerse lo scorso anno 8.068 sui 10.179 accertamenti eseguiti in materia di salute e sicurezza, pari al 79% dei casi.

Se forzassimo poi un parallelo raffrontando il totale degli addetti del corpo ispettivo al complesso di aziende potenzialmente sottoposte a controlli, ci troveremmo di fronte ad un rapporto pari a 3 mila ispettori a fronte di circa 4 milioni di aziende censite in Italia.

La carenza di personale adibito, le elevate irregolarità evidenziate e sanzionate, il numero enorme di lavoratori da monitorare, ci dimostra che, tra le misure per arginare il fenomeno delle morti sul lavoro, il pubblico deve poter svolgere un ruolo determinante. E per farlo ha bisogno di investimenti e personale. Su quest’ultimo punto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha annunciato di aver avviato un provvedimento per l’assunzione di 2.100 unità di personale all’Ispettorato del lavoro. Per Orlando, infatti, “è necessaria una ricognizione degli organici per i controlli e la prevenzione degli incidenti sul lavoro anche a livello delle aziende sanitarie”. Monitoraggio sugli organici questo già avviato assieme “ad una iniziativa che dia risposte in questo senso” perché, ha riferito, “è necessario fare fronte comune”.

 

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