Sanitari per Gaza: l’impegno per il cessate il fuoco

Sanitari per Gaza: l’impegno per il cessate il fuoco

“Solidali con i tanti operatori sanitari morti per svolgere il proprio lavoro e con le persone che non posso ricevere le cure di cui hanno diritto”

Anche loro erano in piazza, a Roma, sabato 9 marzo, per manifestare contro la guerra, per la pace, la libertà, la giustizia. Si fanno chiamare Health Workers for Palestine (Sanitari per Gaza), fanno parte di una rete internazionale di operatori sanitari partita dalla Palestina e che ha poi coinvolto tutti i Paesi del mondo, tra cui l’Italia dove il gruppo ha preso forma a partire da Firenze. Si sono uniti per dare solidarietà ai colleghi e ai tanti pazienti in territorio palestinese a cui viene tolto il diritto a curare ed essere curati in sicurezza, per denunciare i bombardamenti e le pericolose condizioni di lavoro all’interno delle strutture sanitarie. Infine, per sensibilizzare le persone di tutto il mondo su ciò che sta accadendo affinché scendano in piazza per la pace e i governi non sospendano gli aiuti umanitari. Tra le principali rivendicazioni della rete, infatti, vi è quella di aprire corridoi umanitari per far arrivare a Gaza cibo e medicine, e permettere alle persone di essere accolte e curate nel nostro Paese, per poi tornare nella loro amata Terra, la Palestina.

Come primo atto, Sanitari per Gaza ha scritto una lettera agli ordini delle professioni sanitarie, denunciando la violazione del diritto internazionale e l’impossibilità per i colleghi in territorio palestinese di salvare la vita delle persone, mettendo – anzi – a rischio la propria. I numeri di questa guerra, forniti dal Ministero della Salute di Gaza, sono drammatici: a metà febbraio erano 340 gli operatori sanitari uccisi e 613 le persone morte all’interno delle strutture sanitarie. Oltre 250 ambulanze sono state bombardate mentre erano in servizio. Le vittime totali del conflitto sfiorano le 31 mila, di cui oltre 12 mila bambini. Sono 17 mila invece quelli che sono rimasti senza genitori. “Ci ha commosso vedere, nelle riprese fatte in quelle zone, la scritta “Auguri, mamma!” sul muro di un reparto maternità ormai bombardato – spiega Mario Zazzaro, fisioterapista e uno dei coordinatori della rete di Napoli -. Le donne partoriscono nelle tende e i bambini devono fare a meno dell’incubatrice”. Ogni mese, infatti, sono 5 mila donne a partorire in condizioni di assistenza e di igiene evidentemente non idonee e sono 130 i neonati senza cure, latte e pannolini.

C’è poi il problema della mancanza di acqua e cibo. “Se non si lascia arrivare il cibo in Palestina il rischio di carestia è elevatissimo. Ed è un problema anche sanitario tra malnutrizione e disidratazione”, chiarisce Zazzaro. Sono oltre 2 milioni le persone a rischio carestia, di cui la metà sono bambini. I malati di cancro non hanno la possibilità di fare la chemioterapia, perché non arrivano i farmaci e gli ospedali sono distrutti. Stiamo parlando di una platea di 10 mila persone malate. Lo stesso vale per le patologie respiratorie, per le insufficienze renali e così via. Si sono eseguite un migliaio di amputazioni a causa della mancanza di strumenti e medicine per curare le ferite.

Una situazione drammatica che, al momento, non vede la sua fine neanche in lontananza. Per questo l’impegno di Sanitari Per Gaza proseguirà, perché le vittime di questo conflitto hanno ancora bisogno dell’aiuto e la solidarietà di ognuno di noi.

 

di Martina Bortolotti