Dal 2005 a Trieste ha preso piede una nuova idea di sanità pubblica. La città non ha puntato su strutture grandi con un numero sempre più basso di personale, bensì su un servizio decentrato più vicino alle esigenze delle persone. Il progetto si è concretizzato nella divisione del territorio in micro-aree – comprendenti un numero massimo di circa 2 mila cittadini – in ognuna delle quali la costante collaborazione tra Comune, Asl, Ente case popolari (ATER) e associazioni minori rende più agevole la vita di chi vi abita.
Tra le intenzioni di chi ha promosso il progetto c’era quella di rimettere al centro le esigenze dei più fragili. Le persone affette da malattie croniche o di lunga durata, ad esempio, spesso non necessitano soltanto della cura sanitaria, ma potrebbero aver bisogno di assistenza di vario genere, da quella economica a quella per deambulare, da quella per andare a fare la spesa a quella per qualsiasi altra attività fuori dalle mura domestiche. In tal senso è stata attivata una rete costituita da istituzioni, enti e associazioni – che di solito operano in modo autonomo – per ogni piccola area. Così, ogni mille/2 mila abitanti ci sono due o tre persone (infermieri, medici, assistenti sociali o con altra qualifica) che andando casa per casa hanno conosciuto i bisogni specifici di ogni famiglia ed ora fungono da attivatori dei servizi di cui necessitano.
Ogni micro-area stabilisce e sviluppa le proprie attività sulla base di continui monitoraggi sul genere, l’età e le patologie delle persone presenti in quel piccolo territorio. A partire dal primo fino all’ultimo portone, gli operatori si sono presentati spiegando il progetto e il proprio lavoro, cercando di instaurare relazioni e capire i bisogni. La micro-area, seppure dispone di uno o più locali di ricezione, non è uno sportello, bensì un servizio proattivo nei confronti della popolazione. Sono le istituzioni che vanno incontro alle persone: alcune prestazioni possono essere svolte in loco o presso i domicili. Per altri interventi sanitari o servizi di altro genere, invece, gli operatori si attivano affinché il cittadino riceva la risposta più efficace, nel più breve tempo possibile e nel luogo ad esso più congeniale.
Rispetto alle problematiche incontrate, la situazione è molto composita. Gli operatori spesso si trovano in situazioni estreme e di fronte a bisogni diversi e reali. Un esempio banale può essere quello della persona diabetica: se oltre a fornire le cure tradizionali nessuno bada a cosa ha nel frigorifero, si aumenta il rischio che questa persona possa ammalarsi. La mancanza di una risposta coordinata rispetto ad una serie di bisogni crea una inefficienza complessiva del sistema. Un assunto importante alla base di questo progetto è quello che le cure mediche da sole non bastano; se un anziano che vive al quinto piano di un edificio senza ascensore prende gli antibiotici giusti ma non riesce a scendere e procurarsi da mangiare, è un problema. Non è insormontabile, ma va conosciuto e affrontato.
Quando poi arriva una risposta ai bisogni delle persone si crea solidarietà. Uno degli obiettivi delle micro-aree, infatti, è proprio quello di fare comunità. Una volta individuato un problema, gli operatori aiutano anche le persone a conoscersi tra di loro e viene da sé che poi queste instaurino delle relazioni di sostegno reciproco. Questo è un meccanismo che contrasta la solitudine e che può intervenire anche a favore dell’inclusione sociale. La parola d’ordine del progetto delle micro-aree è “prossimità”: un servizio sanitario e di assistenza domestica su piccola scala, da ripetere però all’infinito.
L’esistenza della micro-area ha reso possibile dare una risposta più intelligente ai problemi delle famiglie: un nucleo all’interno del quale una nonna cardiopatica e un nipote tossicodipendente venivano seguiti e curati da due servizi sanitari differenti, attraverso una conoscenza di prossimità riceve una risposta complessiva. Ma non solo. Il progetto che ha preso vita a Trieste, dopo anni di attività, ha ridotto il numero dei ricoveri ospedalieri e il ricorso all’ingresso nelle case di riposo, ha consentito alle persone di uscire da una condizione di solitudine e ha dato modo di risolvere tanti problemi che, seppur piccoli, creavano enormi disagi nella vita quotidiana delle persone.
A Trieste l’esperienza delle micro-aree va avanti ormai da quasi vent’anni: da quando sono nate, si sono perfezionate, si sono estese e sono aumentate, ma soprattutto hanno aiutato migliaia di persone. Un modello da seguire, un paradigma a cui fare riferimento per garantire, davvero, il diritto alla salute.
di Matteo Mercuri
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