Sanità pubblica: “Basta tagli, si torni subito ad investire”

Sanità pubblica: “Stop ai tagli, si torni subito ad investire”

Il Segretario Nazionale della FP Cgil della sanità pubblica Michele Vannini: “Danni gravi da una politica di riduzione della spesa. E l’autonomia differenziata è pericolosa”

Negli ultimi dieci anni la sanità pubblica non è stata considerata una priorità, un settore in cui investire. Anzi, è stata letta come una voce di spesa sulla quale si poteva tagliare, risparmiare. Questo in gran parte spiega da dove nascono le difficoltà che attanagliano oggi il nostro Servizio Sanitario Nazionale. I diversi governi che si sono succeduti hanno scelto tutti di protrarre un graduale disinvestimento e oggi le condizioni in cui versa il SSN sono sotto gli occhi di tutti.

Sul versante del personale sanitario si attesta una grave mancanza di operatori e l’età media dei professionisti è alta. Le liste d’attesa si dilatano: per esempio, per effettuare una mammografia possono volerci fino a due anni. I pronto soccorso sono più affollati che mai: tanti gli accessi e pochi gli operatori sanitari. Ne consegue che molte famiglie sono costrette a rivolgersi alla sanità privata con inevitabili ripercussioni economiche.

Il disinvestimento e le sue ripercussioni 

La politica del disinvestimento è la madre delle criticità che oggi la sanità pubblica si trova ad affrontare: negli ultimi anni la spesa sanitaria è stata ridotta, passando dal 7% del PIL nel 2010 sino al 6,4% nel 2019. Ma la discesa sembra non arrestarsi qui. Dopo gli investimenti dovuti alla pandemia, come conferma una nota di aggiornamento del DEF, ci sarà un nuovo ridimensionamento.

Nel triennio 2023-2025 si prevede una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/pil che nel 2025 precipiterà al 6,1%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. “Questo è un problema – afferma Vannini, Segretario nazionale Fp Cgil per la sanità pubblica – a maggior ragione perché questi sono gli anni nei quali si metterà in pratica tutta la progettualità collegata al Pnrr”.

Oltretutto, come anticipato, questi dati ci collocano come fanalino di coda in Europa. A certificarlo è il quinto rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale, appena presentato. Con 3.052 dollari per cittadino, rispetto a 3.488 della media dei paesi Ocse (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), siamo infatti al 16° posto. Ben quindici nostri ‘vicini di casa’ investono di più in sanità.

La scarsa attrattività della professione sanitaria e la formazione

La carenza di personale è un altro enorme problema del nostro Servizio Sanitario Nazionale, ma allo stesso tempo dovremmo guardare alla perdita dell’attrattiva che interessa tutte le professioni sanitarie. Nei pronto soccorso il personale scappa via, e non soltanto lì” denuncia Vannini, sostenendo che sia necessario agire affinché tutte le professioni riacquistino l’interesse di cui godevano prima. E aggiunge: “Occorrono una migliore organizzazione del lavoro, retribuzioni adeguate e condizioni più dignitose con possibilità di carriera”. 

Autonomia differenziata e diritto alla salute

Un’altra questione altrettanto calda è quella relativa alla possibilità di alcune Regioni di godere di maggiore autonomia. “Basta considerare quello che è successo durante la pandemia: nonostante fosse iniziata l’emergenza, nonostante ci fosse una degradazione diffusa, nonostante ci fossero le risorse stanziate dal governo con indicazioni di applicabilità ben precise, alla fine ogni regione ha fatto quello che ha voluto”, spiega Vannini. “Questa è la dimostrazione plastica di quanto l’autonomia differenziata sia pericolosa. Le Regioni, secondo il dettato costituzionale, dovrebbero garantire il diritto alla salute in maniera omogenea dalla Valle d’Aosta fino a Lampedusa e questo tipo di operazione rischia di metterci ancor più in difficoltà”.

Da dove ripartire? 

Il quadro è davvero complesso ma per costruire un altro modello di sanità pubblica si può e si deve fare qualcosa. Le priorità secondo Michele Vannini sono due: “una è relativa al personale e consiste nella necessità di immettere nuove risorse e dare stabilità ai lavoratori e alle lavoratrici precarie. L’altra è quella di invertire la tendenza a ridurre il finanziamento relazionato al PIL al Servizio Sanitario Nazionale”.

È in gioco il diritto alla salute garantito dalla nostra Costituzione.

 

di Matteo Mercuri