Sabbadini: “Donne, difendiamo la nostra libertà e non isoliamoci”

Sabbadini: “Donne, difendiamo la nostra libertà e non isoliamoci”

Oggi una donna può sentirsi veramente libera? E cosa fare affinché questo sia possibile? Come sconfiggere la cultura della violenza? Ne abbiamo parlato con Linda Laura Sabbadini, nota statistica italiana e pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere.

L’86% degli italiani indica la famiglia e la sua incapacità di educare all’affettività come maggiore responsabile del verificarsi degli episodi di violenza sessuale. Più della scuola. Lei cosa ne pensa?

La famiglia ha un ruolo fondamentale nella formazione dell’individuo e nello sviluppo della cultura del rispetto delle persone. A fronte però di un problema, che esiste in molte famiglie, di violenza all’interno delle mura domestiche, il ruolo della scuola è cruciale, perché può svolgere una funzione fondamentale laddove la famiglia ha fallito. Se a scuola si potenziasse il lavoro di sensibilizzazione e di formazione ad una cultura del rispetto sarebbe un passo importantissimo per la prevenzione della violenza.

Tra i fattori scatenanti gli episodi di violenza quello meno indicato è il comportamento e l’abbigliamento tenuti dalla vittima. Ma c’è ancora un 26% di persone – uomini e donne in egual misura – che ritiene essere questa una delle cause. Secondo lei perché?

Nel nostro Paese sono ancora molto diffusi gli stereotipi di genere. Questa giustificazione del comportamento maschile attraverso la narrazione del “se l’è cercata” – perché si è vestita in un certo modo, perché aveva bevuto, e così via –  è espressione di una cultura volta a colpevolizzare le donne invece che chi ha commesso l’atto violento. Dietro c’è una visione che dice che del corpo delle donne si può fare quello che ci pare perché se loro indossano minigonne o espongono di più il proprio corpo se la stanno cercando. E questo è molto grave. Una donna si veste come crede. Questo non autorizza a violentarle.

Oggi una donna libera può sentirsi al sicuro?

Oggi una donna libera non può sentirsi al sicuro. Una donna libera deve sapere che deve difendere la sua libertà fino in fondo. Sia perché i diritti delle donne possono tornare indietro, e non essere gli stessi di oggi, sia perché si possono incontrare sulla propria strada uomini che pensano che la libertà di una donna non sia giusta. Quindi una donna libera deve essere consapevole della necessità di tutelarsi, di non isolarsi e di condividere qualunque problema affronti, cercando aiuto.

Secondo lei ha un ruolo la pornografia e la sua proposta di un modello sessuale distorto?

Non c’è dubbio che ce l’ha, soprattutto per come viene utilizzata. Ma bisogna lanciare una grande offensiva culturale, le dichiarazioni fini a se stesse non bastano. Bisogna dotarsi di una strategia adeguata per un cambiamento delle radici culturali del patriarcato, oppure impiegheremo decenni prima che queste cose possano essere definitivamente sconfitte.

È possibile che i giovani di oggi vivano un disagio che si trasforma in comportamenti crudeli e anti-empatici?

Da un lato sicuramente c’è una situazione di disagio sociale che non può essere certamente risolta con il solo inasprimento delle pene, c’è bisogno di processi di integrazione e di azione importanti, non soltanto dal punto di vista della sicurezza ma dal punto di vista socioeconomico di alcune realtà. Dall’altra però penso che il problema della violenza non sia soltanto legato al disagio. C’è una cultura patriarcale che è trasversale alle classi sociali e questa visione dell’uomo che pensa di poter possedere la donna va abbattuto attraverso una grande battaglia culturale.

Cosa deve fare la politica?

La politica deve potenziare tutte le strutture che aiutano le donne nei percorsi di uscita dalla violenza sviluppando la loro autodeterminazione. I centri antiviolenza sono pochi, si investe troppo poco su di essi e quindi le donne rimangono sole. È difficile affrontare una denuncia da sole. C’è bisogno di una rete di sostegno forte. I centri assistono già migliaia di donne ma a subire violenze sono milioni. Il secondo aspetto fondamentale è la prevenzione. Bisogna lanciare una grande offensiva culturale, investire perché la scuola abbia un ruolo educativo fondamentale nei rapporti affettivi, nella cultura del rispetto. Bisogna sviluppare una grande azione di sensibilizzazione da parte dei media e organizzare corsi permanenti per operatori sanitari, forse dell’ordine, magistrati, perché siano abbattuti gli stereotipi di genere che portano a non riconoscere la violenza laddove c’è, o a sottovalutarla in quanto secondario litigio familiare.

 

di Martina Bortolotti