Referendum, Azzariti: “5 sì per un Paese con più tutele e più diritti. E’ ora di cambiare rotta”

In un momento cruciale per la democrazia italiana, il referendum dell’8 e 9 giugno chiama i cittadini alle urne su temi centrali per il mondo del lavoro e per i diritti civili. A due giorni dal voto, il dibattito si fa acceso e le implicazioni giuridiche si intrecciano con quelle sociali. Ne parliamo con Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’università Sapienza di Roma, che ci guida nell’analisi dei quesiti referendari, chiarendo cosa è davvero in gioco per i cittadini e quali scenari si potrebbero aprire per il futuro del nostro Paese.

Dopo tanti anni in cui i diritti dei lavoratori sono stati compressi, ridotti, depotenziati, ora i referendum dell’8 e 9 giugno offrono una potentissima occasione per dare la parola ai cittadini e chiedere più tutele, più garanzie, più certezze. Più futuro. E’ così?

E’ proprio così. Con questo referendum si chiede ai cittadini se vogliono arrestare una lunga fase di involuzione politica, sociale ed istituzionale. Un processo regressivo che non riguarda soltanto gli ultimi governi, ma che si può far risalire almeno alla fine del secolo scorso. E’ evidente che non saranno i cinque quesiti a definire il nuovo modello di Diritto del lavoro del futuro, ma è altrettanto evidente che se non ci si esprime in netta controtendenza col passato non si farà mai alcun passo verso la ricerca del nuovo.

Se dovessimo fare una fotografia sintetica del mondo del lavoro di oggi, quale sarebbe?

Non si riesce più a dar regole ad un mondo del lavoro che è cambiato. Credo che nessuno immagini che si possa tornare al paradigma novecentesco che vedeva la forte contrapposizione tra “capitale” e “classe operaia”, non fosse altro perché sono mutati entrambi i soggetti. Il primo è diventato “capitale finanziario”; quindi non più il padrone ma un’entità molto più astratta e inafferrabile. La classe operaia, dall’altra parte, si è frammentata con la disarticolazione del lavoro e la perdita della centralità della fabbrica: ora le logiche di sfruttamento si sono moltiplicate e diffuse. Credo che sia giunto il tempo per dire che le politiche che sin qui hanno mirato alla precarizzazione e allo smantellamento delle tutele di chi lavora siano arrivate al loro epilogo. Il referendum esprime la consapevolezza di questa complessità e prova a cambiare rotta.

I primi tre referendum hanno ad oggetto il Jobs Act (scheda verde), licenziamenti e indennità (scheda arancione), contratti a termine (scheda grigia). Possiamo illustrarli in parole semplici?

Tutti i quesiti sul tema del lavoro possono essere uniti da una sola parola: responsabilità. L’intento infatti è quello di responsabilizzare le imprese nei confronti dei lavoratori. E questo avviene a partire dal primo quesito che va a colpire i licenziamenti illegittimi dettati da motivazioni infondate e la facoltà delle imprese di cavarsela versando un’indennità al lavoratore. Il lavoro non è una merce e monetizzarlo è qualcosa di irresponsabile, oltre che poco dignitoso. La logica è la medesima anche per il secondo quesito: la responsabilizzazione delle piccole e medie imprese in questo caso passa lasciando che sia il giudice a stabilire il danno provocato da un licenziamento illegittimo. In molti sostengono che questo quesito possa mettere in difficoltà le piccole imprese che si vedrebbero sottoposte alla valutazione di un magistrato, ma credo che questo sia un’opinione condizionata da un falso pregiudizio, secondo il quale i giudici sarebbero – chissà perché – sempre dalla parte dei lavoratori, il che ovviamente non è. Allo stesso modo non capisco quale sarebbe lo scandalo nel terzo quesito: perché un’azienda non dovrebbe avere l’obbligo di specificare la motivazione per la quale sta proponendo un contratto a tempo determinato piuttosto che indeterminato? Stiamo parlando semplicemente della necessità di inserire una causale; perché dovrei nascondere la ragione, se legittima, in base alla quale non posso fare un contratto a tempo indeterminato? L’unica cosa che mi viene in mente, anche qui, è perché si vuole continuare a sfuggire al principio di responsabilità e continuare ad abusare dello strumento.

Le causali sono obbligatorie per i bonifici bancari, a maggior ragione dovrebbero esserlo per giustificare i contratti a termine…

Esattamente. E’ evidente che c’è la paura che una causale non veritiera possa essere contestata e portata in giudizio. Posso capire che le imprese possano temere l’abuso da parte del lavoratore dello strumento processuale, ma stiamo parlando di diritti e di giustizia sociale. Dunque, chi altri se non i giudici possono avere l’ultima parola?

Il quarto quesito è sui subappalti (scheda rosa): cosa chiede il quesito e perché è importante?

Qui si parla di sicurezza sul lavoro e si affronta un grave problema che è a tutti noto. Nessuno può infatti negare che ci siano troppe morti sul lavoro e che alcune siano determinate dalla filiera appalti-subappalti, effettuati senza particolari controlli e spesso con scarsa attenzione al rispetto delle norme di sicurezza. Estendere la responsabilità sugli infortuni sul lavoro all’azienda appaltante impedirà nuovi incidenti in futuro? No, ma sicuramente imporrà controlli più ferrei e dunque ridurranno il rischio.

Sentiamo spesso alcune persone che dicono: “Questo referendum non mi riguarda”. Cosa ne pensa?

Non è solo una questione che riguarda solo chi rischia di perdere illegittimamente il lavoro o chi è coinvolto in una filiera di appalti: è una questione di civiltà. A chiunque, credo, importa vivere in uno Stato civile, in cui le relazioni tra le persone e la dignità dei singoli siano tutelate. Quando la Costituzione dice che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro ci sta parlando di un modello di civiltà che riguarda tutti, anche chi non svolge un’attività lavorativa (dai pensionati, ai disoccupati). Il voto, oltre a un dovere civico, è un dovere morale.

Il quinto quesito è sulla cittadinanza (scheda gialla), e chiede il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia (non modificando tutti gli altri requisiti) dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. In molti altri Paesi europei, tra cui Francia e Germania, sono già previsti i 5 anni. Quali sarebbero le conseguenze in caso di vittoria del sì?

Con questo referendum si mette in gioco una questione fondamentale, che interessa non solo il nostro Paese, ma anche l’Europa se non il mondo: la regolamentazione dei flussi degli immigrati. Vediamo che ormai si contrappongono due strategie: una è quella del disconoscimento dell’altro, dell’emarginazione di tutti i soggetti che entrano legalmente nel nostro territorio. L’altra è quella dell’inclusione, non certo indiscriminata, ma stabilendo regole non vessatorie nei confronti di tutti coloro che possono essere integrati. Faccio presente che la richiesta della cittadinanza non è legata soltanto al vincolo temporale di residenza in Italia, ci sono infatti altri requisiti da rispettare: saper parlare l’italiano, fedina penale pulita, avere un reddito di sussistenza per vivere e pagare le tasse. Neanche alcuni cittadini italiani riescono a soddisfare tutti questi punti. E’ giunto il momento di scegliere l’una o l’altra strategia; è chiaro che se dovesse vincere il “Sì” sarebbe un segnale importante. Se passa il referendum non si risolveranno magicamente tutti i problemi, ma avremmo fatto un passo avanti. Poi, dal giorno seguente dovremmo rimboccarci le maniche per cominciare a riflettere su quali debbano essere i diversi princìpi per giungere a migliorare il sistema di integrazione degli stranieri nel nostro Paese. I referendum – sia quello sulla cittadinanza sia quelli sul lavoro – servono anche per dare forza alla richiesta di un più profondo cambiamento.

In un senso più ampio, al di là dei singoli quesiti: cosa potrebbe significare la vittoria del “Sì” ai referendum per il mondo del lavoro e dei diritti delle persone? Quale sarebbe il messaggio per la politica?

Il messaggio potrebbe essere: ‘Cambiamo rotta e diamoci una sveglia’. Si dovrebbero cominciare ad affrontare le questioni che coinvolgono la società civile in maniera diversa e molto più seria rispetto a come abbiamo fatto sin qui. Credo che la vittoria del referendum potrebbe essere una forte battuta d’arresto nei confronti delle misure che questo governo sta promuovendo con particolare vivacità, evocando le peggiori pulsioni. Anche su questioni assai lontane da quelle ora sottoposte a referendum. Penso al DDL Sicurezza, ovvero alle proposte sull’Autonomia differenziata, per non dire delle riforme costituzionali annunciate. Sarebbe l’intera politica sociale, economica e istituzionale che sta perpetrando l’attuale maggioranza a venir rimessa in discussione. In questo momento, caratterizzato da una dialettica politica di bassissimo livello e a tratti imbarazzante, questo referendum potrebbe provocare un ottimo e salutare scossone.

 

Matteo Mercuri, Valerio Ceva Grimaldi