Oggi si è svolto l’incontro tra i sindacati e il ministro della P.a. Zangrillo in vista della legge di Bilancio. Spazio Pubblico ha intervistato Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa-Forum Pa, che scatta una fotografia del comparto pubblico nel nostro Paese: “l’Italia si conferma in fondo alle classifiche europee per dimensione del pubblico impiego. Bisogna investire sui giovani e sui talenti”
Pubblica amministrazione: quale è la situazione del personale in Italia rispetto ai fabbisogni reali?
La pandemia prima, l’aumento delle disuguaglianze, la crescita della povertà, sia relativa sia assoluta, e l’incombente crisi climatica ci propongono uno scenario in cui l’azione della pubblica amministrazione, in tutti i suoi settori, si conferma decisiva per assicurare uno sviluppo equo e sostenibile e avvicinarsi agli obiettivi dell’Agenda ONU per il 2030. Purtroppo però le amministrazioni sono a dir poco sofferenti. Partiamo dai numeri: i dati ufficiali sono a fine 2021, con stime attendibili per il 2022 e ci presentano una stasi che non ha visto, almeno per ora, grandi risultati per le nuove assunzioni. Il numero dei dipendenti pubblici è fermo da anni e al 31 dicembre 2022 contava 3.266.180 persone con un piccolo incremento totale rispetto ad un drammatico 2021 (+0,8%), ma con un calo di quasi 170mila unità in dieci anni e una precarizzazione che è arrivata al 15% del totale e ha fatto sì che il personale stabile abbia raggiunto a fine 2021 il minimo storico dal 2001.
Quali le maggiori carenze?
Non tutti i settori hanno perso addetti allo stesso modo: solo gli Enti locali e le Regioni hanno perso in dieci anni quasi centodiecimila persone, oltre settantamila i Ministeri e gli enti centrali, persino la sanità, al centro dell’interesse politico per la pandemia, ha perso quasi dodicimila impiegati. A questi numeri drammatici si aggiunge una sempre maggiore carenza di profili tecnici che hanno disertato in grande maggioranza i concorsi per il PNRR perché le condizioni stipendiali e il tempo determinato dei contratti li ha spinti verso le aziende private, in primis quelle di consulenza, che hanno visto, proprio per carenza di professionalità in molte amministrazioni, crescere il loro impegno e il loro fatturato. Il blocco del turnover, durato più di un decennio, ha poi portato ad un invecchiamento del pubblico impiego con un’età media che non cala e che supera i 51 anni (al netto delle FF.OO. e delle Forze armate) con una percentuale di lavoratori sotto i 30 anni che è spesso drammaticamente bassa. Ad esempio, nell’istruzione abbiamo il 23% di lavoratori che ha superato la sessantina contro uno 0,3% di under 30. Nella PA centrale gli impiegati sotto i 30 anni sono lo 0,7%, ma quelli che hanno superato i sessanta sono quasi il 30%.
E, relativamente al numero di dipendenti, e alle retribuzioni, come ci collochiamo rispetto agli altri Paesi europei?
E’ molto difficile fare confronti perché ogni Paese definisce in maniera diversa i confini dell’amministrazione pubblica, ma in grandi linee l’Italia si conferma in fondo alle classifiche europee per dimensione del pubblico impiego. Se in Francia gli occupati nel settore pubblico sono il 19,2% del totale degli occupati, in UK sono il 16,9% e in Spagna sono il 17,2% in Italia questa percentuale è del 14%. Anche rispetto alla popolazione residente l’Italia è ultima in classifica tra i grandi Pesi europei con un 5,5 occupati su 100 residenti contro gli 8,3. Della Francia, l’8,1 de Regno Unito, il 7,3 della Spagna e 6,1 della Germania. Un confronto relativo alle retribuzioni è ancora più difficile, ma prendiamo una professione ad esempio, che oggi vede una cronica carenza di personale, quella infermieristica. Bene, gli stipendi dei nostri infermieri sono del 23% inferiori alla media OCSE a fronte di turni di lavoro massacranti. Non è certo un caso che circa 3.500 infermieri l’anno, formati in Italia, vanno a lavorare all’estero dove trovano condizioni e retribuzioni nettamente migliori.
Quanto personale occorrerebbe per garantire, concretamente, servizi efficaci e diritti dei cittadini?
Per rispondere a questa domanda rifacciamoci a due dichiarazioni di Ministri della PA, Brunetta e Zangrillo, il primo dichiarò di voler arrivare entro il 2028 a quattro milioni di dipendenti pubblici; il secondo ha dichiarato di voler assumere nel 2023 circa 170.00 nuovi impiegati. Ora, se consideriamo che nei prossimi cinque anni si stimano circa 500mila pensionamenti che supereranno il milione nei prossimi dieci appare banalmente necessario assumere almeno 200mila persone l’anno per rimanere ai numeri scarsi prima menzionati. Se poi vogliamo crescere per rispondere alle accresciute necessità di una società sempre più disuguale e complessa dobbiamo immaginare una campagna di assunzioni straordinaria di almeno 250mila nuovi assunti l’anno. Il punto però è che dobbiamo assumere bene e questo è molto difficile per la PA per almeno tre ragioni che si assommano: le analisi dei fabbisogni di personale sono fatti molto spesso per reiterare l’esistente e rimpiazzare i pensionati con profili identici, senza considerare il profondo cambiamento sia della società sia delle stesse amministrazioni; i concorsi sono a dir poco sciatti con bandi scritti male e che non chiariscono cosa ci si aspetta di trovare in un nuovo assunto in termini sì di conoscenze, ma anche di competenze e di attitudini, inoltre le commissioni di esame sono spesso a dir poco male assortite e le prove non aderiscono alle pur buone direttive vigenti; l’accoglienza dei neo assunti è in molti casi poco curata e così rimane alta la percentuale di chi, pur vincitore di concorso, abbandona l’amministrazione.
Altro capitolo, la formazione: una priorità sulla quale bisogna fare di più…
Nonostante le dichiarazioni degli ultimi tre Governi la formazione non è ripartita. Rileviamo che la spesa per la formazione dei pubblici dipendenti in tredici anni -nel periodo 2008-2021- è quasi dimezzata, passando da 301 milioni reali (ai prezzi 2021) del 2008 ai 158,9 milioni di euro del 2021. il numero di giorni destinati alla formazione, che hanno toccato nel 2008 il valore massimo di 4,9 milioni (1,4 per dipendente), è sceso ai 2,9 milioni del 2021, in media nemmeno un giorno per dipendente (0,9 giorni). Inoltre spesso i temi trattati sono più di aggiornamento sulle nuove norme che di preparazione alla PA del futuro fatta di capacità di interagire con tutte le componenti della società, di progettare politiche, di governare la trasformazione digitale.
Come rendere la pubblica amministrazione più attrattiva in particolare per i giovani?
Partiamo dal presente: In due anni i candidati ai concorsi pubblici si sono ridotti a un quinto (40 contro 200 per ogni posto). Due vincitori su dieci rinunciano al posto, ma diventano il 50% per i posti a tempo determinato. Il 42% dei candidati ha partecipato a più di un concorso e il 26% è risultato idoneo almeno in due; molti vincitori di concorso prendono servizio, ma lasciano dopo pochi mesi. Le amministrazioni sono in competizione tra loro e con il privato.
A questo stato di fatto la PA può rispondere imparando di nuovo ad essere un buon datore di lavoro in un mercato del lavoro profondamente mutato mettendo in atto cinque azioni come base di lavoro: attirare i migliori talenti impiegando strategie employer branding; selezionare i candidati con cura e lungimiranza ripensando profondamente i concorsi; accogliere i neoassunti usando moderni strumenti di accompagnamento, mentoring, orientamento: trattenere i neoassunti dando loro la possibilità di esprimere tutte le loro potenzialità e garantendo formazione continua, progressioni di carriera meritocratiche, giuste retribuzioni, welfare aziendale, garanzia di diritti e rispetto delle unicità di ciascuno; connettere gli innovatori dando loro spazi di incontro e di collaborazione e facendo circolare le migliori esperienze.
Di Matteo Mercuri