Il settore sanitario è colpito in modo diffuso, dal nord al sud d’Italia, da criticità senza precedenti. “La vertenza sanità continuerà con altri scioperi”, hanno annunciato i sindacati che si sono mobilitati con particolare intensità negli ultimi mesi dell’anno, e che certamente continueranno a denunciare l’immobilismo della politica.
Gli ospedali sono in ginocchio, ma attualmente il settore più colpito appare quello dell’emergenza-urgenza. I pronto soccorso sono sempre più affollati, con picchi di affluenza che superano i 200 pazienti al giorno. Questa è la cruda realtà che attualmente stanno affrontando le strutture sanitarie italiane. Le regioni più colpite includono Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Toscana e Sicilia, tutte alle prese con una drammatica carenza di posti letto e personale.
La situazione nei pronto soccorso in Italia
Lo stato dell’arte dei Pronto Soccorso italiani tracciato dall’Osservatorio Nazionale permanente della Società italiana di emergenza Urgenza (Simeu) è a dir poco preoccupante. Ogni anno i medici di pronto soccorso degli ospedali pubblici nazionali effettuano 4 milioni e mezzo di visite in più rispetto agli standard nazionali definiti dalle società scientifiche. Il 22% del totale delle visite mediche di pronto soccorso supera quindi il normale carico di lavoro dei professionisti dell’emergenza.
Ogni medico dovrebbe eseguire ogni anno al massimo 3.000 visite, che invece sfiorano i 4.000 per ciascun professionista. Un fenomeno preoccupante, che è la prima conseguenza della carenza di personale. I medici a tempo indeterminato nei pronto soccorso italiani sono 5.800 mentre, in base alle piante organiche delle aziende sanitarie, ne servirebbero oltre 8.300; i precari sono circa 1.500. Mancano quindi all’appello più di mille medici di pronto soccorso.
Un’insufficiente copertura dei turni necessari da parte del personale in organico genera invece l’attuale difficoltà di gestione. Nel 54% dei PS sono presenti contratti atipici. Nel 48% dei PS operano dirigenti medici provenienti da altri reparti dell’ospedale in regime di prestazione aggiuntiva. Nel 32% dei PS operano specializzandi di Medicina Emergenza-Urgenza (MEU). Nel 29% dei PS, infine, operano specializzandi non appartenenti al comparto dell’emergenza.. Dall’analisi effettuata da Simeu appare evidente che le soluzioni adottate sinora producono una frammentazione estrema del personale all’interno delle strutture, generando enormi difficoltà e stress per gli stessi professionisti sanitari.
Il grande esodo e il punto di “non ritorno” sempre più vicino
I pronto soccorso registrano un afflusso massiccio con pazienti che, in molti casi, devono attendere anche 24 ore per un esame o una visita. In altri casi, invece, i pazienti rimangono in attesa – anche per giorni – di posti letto nei reparti. Una conseguenza ineluttabile se si pensa che negli ultimi 20 anni i posti letto sono diminuiti del 32%: gli ospedali italiani ne hanno 3 ogni 1000 abitanti, la Germania, ad esempio, ne ha 9. I professionisti rimasti in prima linea affrontano sfide crescenti, con infermieri e medici che, come il resto della popolazione, si ammalano, aggravando ulteriormente la situazione. Tanti altri, invece, prendono la palla al balzo e sfruttano la prima possibilità per lasciare i pronto soccorso.
Dai dati raccolti dalla Società Italiana di Emergenza Urgenza, negli ultimi 12 mesi hanno abbandonato i pronto soccorso 1.033 medici, di cui il 70% dimessi, pensionati, passati a medicina generale o al privato, e il 30% trasferiti ad altro reparto ospedaliero. I nuovi ingressi degli ultimi 12 mesi sono 567. Il bilancio tra fuoriusciti e nuovi ingressi è negativo per il 45%, per cui solo il 55% viene sostituito. I dirigenti medici mancanti rispetto al necessario sono oggi 4mila, pari al 40% del fabbisogno nazionale.
di Matteo Mercuri