Povertà, liste d’attesa, pandemia: 800 mila famiglie rinunciano a curarsi

Povertà, liste d’attesa, pandemia: 800 mila famiglie rinunciano a curarsi

Sono 800 mila le famiglie italiane che hanno rinunciato a curarsi in un anno. Si stima che si tratti di oltre 2 milioni di persone. Accedere alle prestazioni sanitarie è sempre più difficile e non tutti possono sostenere il costo di una visita privata. È quanto emerge dal Rapporto civico sulla salute 2022 di CittadinanzAttiva, che si basa sulle segnalazioni dei cittadini su tutto il territorio nazionale. Ma quali sono le cause di questa difficoltà di accesso alle cure? Ai progressivi tagli alla sanità pubblica (si tratta di circa 37 miliardi di euro in 10 anni) che hanno portato a una congestione del sistema, si sommano una serie di circostanze economiche e sociali: la pandemia, il caro energia, l’inflazione non hanno fatto altro che impoverire la popolazione, aggravando ulteriormente la situazione. Nel 2021 il 7,5% degli italiani viveva in povertà assoluta, quasi 2 miliardi di famiglie e 5,6 milioni di individui. Per molti, dunque, le cure sono diventate un lusso, più che un diritto.

Le liste d’attesa

Di tutte le segnalazioni ricevute, sono un quarto quelle che si riferiscono alla difficoltà di accedere alle prestazioni sanitarie. Il più grande ostacolo è quello delle liste d’attesa (il 71,2% delle segnalazioni), interminabili soprattutto per interventi chirurgici, esami diagnostici e visite specialistiche. Quello che era già un punto nevralgico del servizio è stato acuito dall’emergenza pandemica che ha reso impossibile a molti cittadini accedere alle prestazioni, vedendosi di fatto precluso il diritto alla salute.

Gli esami diagnostici più critici sono la mammografia, per cui è possibile aspettare anche due anni, l’ecografia oltre un anno, la tac che richiede fino a un anno di attesa, la risonanza magnetica che può richiedere fino a 6 mesi e la colonscopia con un’attesa massima di oltre 3 mesi. Per quanto riguarda le visite specialistiche, è particolarmente critico l’accesso alla visita diabetologica che richiede anche un anno di attesa, una visita oculistica si aggira intorno ad un’attesa massima di 9 mesi, quasi 4 mesi per quella ginecologica, oltre due mesi per la visita oncologica e un mese e mezzo per quella cardiologica. Infine, per sottoporsi ad un intervento chirurgico cardiologico è necessario attendere fino ad un anno, sei mesi per un intervento oncologico.

Le barriere alla prenotazione

Ma a volte la difficoltà di accedere alle prestazioni si presenta già dal momento della prenotazione (il 24,2% delle segnalazioni). Il problema più frequente è quello dei tempi di attesa sempre molto lunghi per mettersi in contatto con il CUP (Centro Unico Prenotazioni). I cittadini segnalano anche il mancato rispetto dei codici di priorità: il servizio è talmente intasato da non riuscire a garantire le giuste tempistiche. 

Il ricorso al privato

Il 4,6% delle segnalazioni riguardano, invece, il ricorso all’intramoenia. La scelta di ricorrere a questo tipo di prestazione è perlopiù determinata dall’impossibilità di garanzia dei tempi del pubblico (il 36,75% delle segnalazioni) a causa dei progressivi tagli che ha subito. Un’altra ragione è il timore di recarsi presso strutture con reparti Covid e di essere contagiati (18,4%). Infine, alcuni cittadini riferiscono di essere stati indirizzati verso il privato direttamente dagli operatori del Cup (12%). Un dato molto indicativo.

I costi

Oltre alle difficoltà organizzative di accesso alle prestazioni, il 5% degli utenti segnala anche un problema legato ai costi, in particolare alle spese sostenute privatamente dai cittadini per accedere a prestazioni e servizi che il pubblico non riesce a garantire (il 55,4% delle segnalazioni). Ma non tutti possono permettersi di ricorrere al privato e di sostenerne i costi. Per questo una percentuale allarmante pari al 20,5% rinuncia alle cure. Si tratta di 800 mila famiglie in un anno, stimate in circa 2 milioni di persone.

Questa fotografia mostra un dato incontrovertibile: non sempre il diritto alla salute è garantito. Chi ha le possibilità ricorre al privato, pagando di tasca propria per sfuggire a liste d’attesa interminabili e a complicazioni burocratiche, chi non può permettersi i costi di una visita privata rinuncia a curarsi. Un dato che ci consegna l’urgenza di investire sul nostro Servizio Sanitario Nazionale e su quello che è un diritto universale: la salute.