Sostenibilità, app antispreco e recupero delle eccedenze: il grande impegno per la solidarietà. Ne parliamo con Davide Marino, ricercatore di CURSA e docente all’Università del Molise
I più recenti dati Istat (2020) segnalano che, con la crisi economica innescata dal Covid, è aumentata la povertà assoluta nel nostro Paese. Ciò ha provocato l’aggravarsi di un fenomeno ancora poco raccontato, ovvero la povertà alimentare, intesa come l’impossibilità di avere accesso ad un cibo sano, di qualità, che rispetti le preferenze individuali. Ne abbiamo parlato con Davide Marino, ricercatore di CURSA (Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente) e docente presso l’Università del Molise, che ha studiato il fenomeno nell’ambito di numerosi progetti di ricerca ed ha curato l’Atlante del Cibo per il territorio di Roma.
Mentre a livello globale il fenomeno della fame è un dramma monitorato da organismi internazionali come ad esempio la FAO (Food and Agriculture Organization) ed il WFP (World Food Programme), nei Paesi più avanzati si è cominciato a parlare di povertà alimentare in conseguenza della crisi economica del 2008. Dopo una lieve ripresa, la diffusione del Covid e la guerra hanno messo di nuovo l’accento sul tema. Il Banco alimentare in Italia nei primi mesi della pandemia ha aumentato il numero di assistiti del 40%.
Professor Marino, si potrebbe essere indotti a credere che questo problema non riguardi l’Italia, Paese avanzato e del buon cibo. Eppure, il tema della povertà alimentare anche da noi è diventato centrale: quali sono i profili più a rischio?
Sulle famiglie gravano spese incomprimibili come casa, bollette e altro. Così come si taglia su spese accessorie come viaggi e divertimenti, si taglia anche sulla spesa alimentare. I numeri sembrano bassi ma se il 9-10% della popolazione di Roma ha difficoltà ad acquistare cibo, si tratta di 400 mila persone. I single o genitori single sono le fasce più a rischio, dovendo mantenere con un solo stipendio se stessi e i figli, o un anziano a carico o entrambi. Poi c’è il tema della “desertificazione”: in alcune aree interne manca una sufficiente rete di negozi e ristoranti, che causa una difficoltà nell’accesso fisico al cibo di qualità.
Gli effetti di una dieta povera non ricadono solo sulla salute, ma anche sulla sostenibilità: una dieta sana e sostenibile, fa bene a se stessi e al pianeta. Cosa vuol dire dieta green e perché se ne parla così poco?
A livello internazionale, sta crescendo la ricerca sul tema healthy diet – healthy planet: si è visto che una dieta sana ha un impatto, in termini di carbon e water foodprint, decisamente minore di una dieta non sana (66% di Co2 in meno e 73% di acqua risparmiata), senza che ci sia tra le due una differenza economica particolarmente elevata. Eppure, anche in Italia seguire la dieta mediterranea (basata su cereali integrali, legumi, olio d’oliva, pesce, verdura, frutta e noci, che contengono nutrienti essenziali per il mantenimento della salute umana, riducendo il consumo di carni rosse e zuccheri) è meno comune di quanto si pensi. Non rispettare questi nutrienti comporta lo sviluppo nel tempo di una serie di patologie croniche non trasmissibili come diabete, obesità, malattie cardiovascolari, che hanno incidenza sulla qualità della vita delle persone e comportano costi sanitari destinati a crescere nel futuro. In Italia c’è un rischio elevato di obesità tra ragazzi e bambini. Le mense scolastiche sono la base per avere accesso a cibo sano e di qualità, ma non c’è una distribuzione omogenea nel territorio. Lavorare sulla prevenzione anche attraverso programmi di educazione alimentare significa investire su un futuro sano e sostenibile.
Da una parte le difficoltà di accesso al cibo, dall’altra gli sprechi, che a loro volta rappresentano un costo elevatissimo a livello globale. Cosa accade in Italia?
La rete del recupero delle eccedenze e la lotta allo spreco si fonda su iniziative solidali che la legge Gadda ha regolamentato. Ci sono molte esperienze innovative, dalle app alle iniziative di recupero, come nei mercati rionali di Roma e Milano, o al “frigo di comunità”: tutte esperienze che vanno sostenute e incentivate, a beneficio della salute e dell’ambiente. Nell’ambito dell’Atlante del Cibo realizzato per l’area di Roma, abbiamo approfondito, ad esempio, oltre all’effetto economico, gli impatti ambientali dell’app Too Good To Go: ne è derivato che l’utilizzo dell’app permette di risparmiare 13,5 kg di CO2 e 12.102 litri di acqua per ogni Kg di alimento presente nel reparto “macelleria” e 8,4 Kg di CO2 e 5.071 litri di acqua per ogni Kg di alimento nel settore “supermercati” (valori più bassi per gli alimentari di frutta e verdura). Le opportunità per comprendere che salute e sostenibilità, economica e ambientale, possono andare di pari passo ci sono: è necessario sostenere il più possibile il cambiamento culturale che porti a cambiare le abitudini dei singoli.
Di Chiara Pinzuti