Il concorso bandito ex art. 7 comma 1 del DL 80/2021 (cd. Concorso MEF 500) è stato da subito caratterizzato da un paradosso profondo: affidare le delicate attività di monitoraggio, rendicontazione, controllo e attuazione dei progetti del PNRR – un piano, vale la pena ricordarlo, estremamente ambizioso nell’ambito del quale l’Italia è chiamata a spendere 191,5 miliardi di fondi europei – ad una manciata di funzionari precari.
Una simile gravissima contraddizione è stata da subito denunciata dalla FPCGIL come una scelta miope e sbagliata, da correggere al più presto tramite un intervento normativo. Questa presa di posizione è stata seguita sin dai primi mesi di attuazione del PNRR dalla scelta di coinvolgere attivamente i lavoratori PNRR delle Amministrazioni centrali tramite candidature nelle liste delle RSU 2022 e numerose iniziative di mobilitazione.
In tutte queste attività la FPCGIL ha portato avanti una tesi molto semplice. E cioè che il precariato è non solo una condizione inaccettabile per i lavoratori, perché essere precari nel lavoro significa essere precari nella vita, ma anche una criticità per le amministrazioni pubbliche in quanto fonte di debolezza strutturale.
Purtroppo dobbiamo constatare che le nostre previsioni erano corrette. Il contratto a termine, specie se proposto a professionisti altamente qualificati e in concomitanza con numerose offerte di lavoro alternative nel pubblico e nel privato, ha prodotto un turnover elevatissimo di funzionari, che ovunque si sono dimessi a un ritmo più elevato di quello che avevano le amministrazioni nel rimpiazzarli tramite gli scorrimenti. Il risultato è stato che, delle quattro graduatorie inizialmente previste per il concorso, tre si sono esaurite nel giro di pochi mesi mentre quella del profilo giuridico, più lunga e oggi anch’essa esaurita, sembrava assicurare un potenziale bacino di ricambio a cui attingere anche per la sostituzione dei funzionari degli altri profili (economico, informatico e statistico), ma di fatto si è rivelata inefficace perché numerosi idonei avevano nel frattempo trovato un impiego più stabile e rifiutavano la presa in servizio. Sotto questo aspetto l’esempio del PNRR dimostra in modo paradigmatico il fallimento del ricorso a contratti a termine: bandendo concorsi a tempo determinato per l’attuazione del Piano è stato creato un danno non sanabile alla collettività, con Unità di missione perennemente sotto organico a causa della grande fuga dei funzionari e che non potranno mai essere portate ai livelli previsti inizialmente a causa dell’esaurimento delle graduatorie.
Di fronte a simili criticità, segnalate anche all’interno dei controlli effettuati dalla Commissione europea e dalla Corte dei conti italiana, il governo Draghi prima e Meloni dopo hanno tentato di ovviare attraverso delle norme che consentissero la stabilizzazione dei funzionari assunti presso le Unità di missione. Da ultimo, l’art. 4 del D.L. 13 del 24 febbraio 2023 ha introdotto la possibilità per le amministrazioni assegnatarie di questo personale di stabilizzare i lavoratori dopo 15 mesi di servizio e a seguito di un colloquio.
Purtroppo ancora una volta l’azione dell’esecutivo si è rivelata insufficiente, come la FPCGIL ha denunciato subito dopo l’uscita della norma. Le criticità principali riguardano la mera discrezionalità in capo alle amministrazioni nell’attivare le procedure di stabilizzazione e l’assenza di risorse specifiche per finanziare l’immissione in ruolo del personale stabilizzato.
Ciò ha prodotto l’ennesima disparità di trattamento tra i lavoratori assunti presso le diverse amministrazioni, che in alcuni casi avevano maggiore capienza di facoltà assunzionali e hanno avviato in tempi relativamente brevi le procedure di stabilizzazione, mentre in altri hanno inizialmente previsto un numero di posti inferiore rispetto agli aventi diritto. In altri casi ancora, nonostante la capienza di posti all’interno dei PIAO, le amministrazioni non hanno ancora attivato le procedure di stabilizzazione.
Volendo trarre un bilancio dell’attività sindacale svolta nel corso dell’ultimo anno, possiamo senz’altro affermare che alcuni risultati importanti sono stati conseguiti. Grazie alla pressione sindacale esercitata dalla FPCGIL e in ragione delle criticità riscontrate nelle varie Unità di missione, la maggior parte delle amministrazioni che avevano facoltà assunzionali sufficienti hanno attivato, e in molti casi concluso, le procedure di stabilizzazione (es. MASAF, MIT, MEF). Dove la previsione iniziale era di un numero inferiore di posti, la nostra attività sindacale ha condotto ad un ampliamento pari al numero totale degli aventi diritto (es. MASE). Dove, infine, non si è ancora proceduto ad attivare il percorso di stabilizzazione sono stati ottenuti impegni formali da parte delle amministrazioni (es. MIM, MLPS). Ad oggi una platea compresa tra la metà e i due terzi del personale avente diritto è stato stabilizzato o sta attendendo il completamento delle procedure bandite.
È evidente che permangono due principali elementi di attenzione. 1) La necessità di presidiare l’operato delle amministrazioni affinché pubblichino nel 2024 e nel 2025 nuovi bandi di stabilizzazione per i lavoratori che non avevano ancora maturato il requisito dei 15 mesi previsti dalla norma. 2) La necessità di spingere le amministrazioni che ancora non hanno bandito nessuna procedura a stabilizzare al più presto il proprio personale avente diritto. Per quanto la lotta sia stata balcanizzata dalla norma del governo e si sia trasferita all’interno delle diverse realtà amministrative, la FPCGIL non lascerà nessuno indietro e continuerà a battersi finché anche l’ultimo lavoratore avrà visto rispettato il proprio diritto ad un lavoro stabile e non precario.
Per concludere, la vertenza dei PNRR delle amministrazioni centrali ci obbliga a riflettere su tre elementi fondamentali.
1) Le istanze del lavoro devono meritano di essere ascoltate attentamente non solo nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici in prima persona, ma parimenti nell’interesse delle amministrazioni pubbliche e della collettività tutta, senza cedere alla tentazione di assecondare convenienze datoriali a breve termine, destinate a rivelarsi fallaci alla prova dei fatti.
2) Le diverse vertenze portate avanti dalla FPCGIL sul tema del lavoro pubblico sono tutte strettamente connesse. L’elemento comune risiede nella necessità assoluta e inderogabile di evitare con tutti i mezzi a disposizione l’arretramento dei servizi pubblici e anzi di tornare a investire nella pubblica amministrazione italiana dopo decenni di tagli e austerità. Per questo la FPCGIL ha unificato le diverse vertenze nel Piano straordinario per l’occupazione: stabilizzazione di tutti i precari che a vario titolo lavorano nella pubblica amministrazione, scorrimento delle graduatorie degli idonei, espletamento di nuove procedure concorsuali, contrasto alle esternalizzazioni selvagge che non fanno altro che indebolire la capacità amministrativa e depotenziare i servizi pubblici.
3) È ora di riconoscere una volta per tutte che il precariato è uno strumento sbagliato, che uccide il lavoro e crea fragilità strutturali. La FPCGIL, forte dei risultati ottenuti, continuerà a lottare affinché si rimetta al centro la dignità del lavoro su cui si fonda la nostra costituzione e affinché si abolisca una volta per tutte il ricorso a contratti precari nella pubblica amministrazione.
Lorenzo Milano
Coordinatore precari Pnrr funzioni centrali Fp Cgil
(convegno “Contro il precariato, per salvare i servizi pubblici”, Roma)