Il Pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni di Roma vive da tempo una situazione di caos, una circostanza diffusa che accomuna da oltre due anni molti ospedali della regione e del Paese. Il numero di accessi continua ad aumentare e i pazienti sono costretti a stazionare per diversi giorni nei corridoi in attesa di un ricovero a causa della carenza di posti letto. Il personale è insufficiente a causa dei numerosi contagi covid, e si ritrova a gestire anche ottanta persone contemporaneamente, con turni di lavoro interminabili e massacranti. I malati di covid sono troppi e si ritrovano tutti ammassati in un’area pensata per un numero molto inferiore di degenti. Con pesanti ripercussioni sulla qualità del lavoro e il diritto alla salute di tutti. Uno spaccato drammatico quello raccontato a Spazio Pubblico da un gruppo di infermieri del Pronto soccorso del San Giovanni di Roma che, nei giorni scorsi, ha segnalato alla direzione sanitaria le difficoltà che sta vivendo.
“Abbiamo numeri mai visti prima di pazienti covid, che sono persone che arrivano in ospedale per altre ragioni e che al tampone risultano positive – ci spiegano -. Chiaramente questi pazienti non possono essere ricoverati in un reparto normale né possono essere mandati a casa perché hanno un problema di altra natura. Quindi vengono tenuti in pronto soccorso anche dieci o quattordici giorni, fino a che non si negativizzano o si libera un posto letto. L’area destinata all’isolamento normalmente ospita circa sei o otto persone, siamo arrivati ad averne quarantadue, quasi tutti multi patologici e anziani, senza un bagno, senza un lavandino. Addirittura, quando non riusciamo più a contenerli, dobbiamo collocarne alcuni all’interno delle ambulanze nel parcheggio antistante al Pronto Soccorso, con quaranta gradi, per diverse ore”.
Questa gestione emergenziale dei casi covid ha inevitabilmente portato ad un contagio di massa tra gli operatori. “Uno dopo l’altro, almeno un terzo di noi si è ammalato, perché anche usando il massimo delle accortezze è impossibile tenere pulita un’area che viene continuamente contaminata”. E l’assenza del personale malato ha aggravato ancora di più la gestione dei tanti pazienti presenti. Chi rimane in servizio fa quotidianamente doppi turni. “Ci rendiamo conto di cosa voglia dire lavorare tante ore in un ambiente come un pronto soccorso? Arriviamo a un certo punto che non siamo più lucidi. La cosa più importante è il benessere del paziente e vorremmo evitare di trovarci alla sedicesima ora di lavoro con un codice rosso, perché la nostra reattività non sarà mai come quella di dieci ore prima”.
Ma il problema dell’affollamento coinvolge anche i pazienti “tradizionali”. La loro sala – spiegano gli operatori – può contenere massimo quindici barelle, ma normalmente ci sono in carico tra i quaranta e i sessanta pazienti. Molti, quindi, finiscono nei corridoi. Quando terminano le barelle, vengono utilizzate quelle delle ambulanze che rimangono bloccate senza poter rispondere alle chiamate di soccorso.
Una situazione insostenibile che si ripercuote anche sullo status di questi professionisti una volta terminato il proprio lavoro. “Usciamo di casa per andare a fare il nostro turno e non sappiamo a che ora torneremo. È complicato gestire il lavoro ma anche la propria vita. Stiamo scoppiando. Siamo distrutti, stressati, nervosi. E ci sentiamo abbandonati”. Un grido d’allarme degli operatori sanitari del San Giovanni che merita attenzione e l’adozione di soluzioni urgenti, per il benessere dei professionisti e a tutela del diritto alla salute dei pazienti.
di Martina Bortolotti