Sono stati 4.821 gli infortuni causati da episodi – denunciati e accertati – di violenza ed aggressione al personale sanitario e sociosanitario dal 2019 al 2021, con una media di circa 1.600 episodi l’anno. Di questi, il 2% ha provocato danni permanenti. Più della metà degli episodi si è verificata nel Nord Italia e il 71% delle vittime è donna. È quanto rilevato dai dati Inail.
I settori più colpiti
Il 37% di episodi si concentra nell’assistenza sanitaria (che include ospedali, case di cura, istituti, cliniche e policlinici universitari), secondo i dati dell’istituto. A seguire il 33% riguarda i servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica e centri di accoglienza). Infine, il restante 30% ricade sull’assistenza sociale non residenziale.
Le professioni più colpite
Oltre un terzo degli episodi di violenza ed aggressione ha riguardato infermieri, educatori professionali e tecnici della salute normalmente impegnati nei servizi educativi e riabilitativi con un pubblico fragile (come minori, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati, disabili, pazienti psichiatrici e anziani) all’interno di strutture sanitarie e socio-educative. Il 29% dei casi riguarda, invece, gli operatori sociosanitari dei servizi sanitari e sociali. Seguono, con il 16%, gli operatori socioassistenziali e gli assistenti-accompagnatori di persone con disabilità. Infine, il 3% dei casi colpisce i medici (un dato che però non tiene conto dei medici di medicina generale e dei liberi professionisti).
Oltre la metà delle aggressioni al Nord
Un dato che emerge con un certo impatto è quello per cui ben il 58% dei casi di aggressione è avvenuto nel Nord Italia. Si tratta di 2.721 episodi complessivi. Nel Centro Italia, invece, i casi sono stati 838 (18%), al Sud 671 (15%) e nelle Isole 371 (9%). Non sono chiare le ragioni di un tale sbilanciamento degli episodi.
Aggredite soprattutto le donne
Fatto, purtroppo, molto meno insolito è constatare che i casi di aggressione rispondano ad una logica di genere: il 71% delle vittime degli episodi di violenza è donna.
Il caso
Ha colpito per la sua crudezza il recente caso di cronaca di Barbara Capovani, psichiatra dell’ospedale Santa Chiara di Pisa, aggredita e uccisa brutalmente sul lavoro da un suo ex paziente. Una tragedia che, insieme al dolore, richiede una doverosa riflessione sul concetto di cura nel nostro Paese. “La sicurezza degli operatori sanitari e sociosanitari ritorna come un tema centrale. Così come il malessere psicologico che pervade una società afflitta da disuguaglianze ed emarginazione – ha dichiarato la Funzione Pubblica Cgil in quell’occasione -. Una condizione che spesso riguarda chi cura e chi è curato”.
Da dove partire: le proposte
D’altronde il sindacato lo sostiene da tempo: c’è bisogno di ricostruire. Da questo presupposto partono le proposte dell’Osservatorio nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e socio-sanitarie, istituito dal Ministero della Salute. Un Osservatorio costituito da 60 realtà che hanno contribuito a fornire delle risposte concrete per prevenire e contrastare il fenomeno delle aggressioni. Un fenomeno le cui cause affondano le proprie radici nella cultura collettiva ma che è anche, in parte, legato a questioni di carattere lavorativo e organizzativo. Per questo è necessario intervenire su più fronti.
Contrastare i disservizi
Una delle principali cause delle tensioni che si creano con l’utenza e che talvolta sfociano in episodi di aggressione verbale o addirittura fisica è certamente il problema dei disservizi: la lunga e snervante permanenza in pronto soccorso, le infinite liste d’attesa per accedere ad una prestazione sanitaria, le postazioni di fortuna su barelle assembrate nei corridoi.
Per questo secondo l’Osservatorio è necessario innanzitutto intervenire per contrastare le possibili cause di disservizio, prima tra tutte la carenza di personale. Un percorso di prevenzione e di contrasto agli episodi di aggressione non può prescindere da un serio e importante incremento del numero di professionisti sanitari a disposizione del Servizio Sanitario nazionale. Non solo, secondo l’Osservatorio è importante migliorare le condizioni degli ambienti e degli spazi dedicati alle attese dei pazienti ma anche di familiari e care-giver, per rendere la fruizione del servizio un’esperienza meno stressante.
Lavorare sulla cultura
Per prevenire il fenomeno, ancor prima di contrastarlo, è assolutamente essenziale lavorare sulla cultura collettiva, attraverso la produzione di campagne informative rivolte non solo alla cittadinanza ma anche agli operatori sanitari e sociosanitari. Secondo l’Osservatorio, infatti, è necessario strutturare dei percorsi formativi che accrescano le competenze degli operatori nel riconoscimento dei comportamenti a rischio e nel mettere in atto strategie di de-escalation, anche nella comunicazione con l’utenza.
Prendersi cura di chi cura
Sono tante altre, si legge nell’Osservatorio, le misure che possono essere messe in atto per contrastare il fenomeno delle aggressioni: lavorare in equipe, prevedere la presenza di uno psicologo che aiuti a governare i conflitti e che supporti nel tempo chi vive il trauma dell’aggressione. Ma anche inasprire le pene nei confronti di chi compie atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari a cui riconoscere lo status di pubblico ufficiale.
Tante proposte per affrontare un fenomeno grave e preoccupante, oltre che profondamente ingiusto. Perché non si può andare al lavoro con il timore di uscirne lesi, non ci si può occupare della salute delle persone mettendo a rischio la propria. Perché, come dice la Cgil, “è ora di prendersi cura di chi ci cura”.
di Martina Bortolotti