Alex Bellini: “Basta con il qui e ora, la lungimiranza ci salverà”

L’esploratore Alex Bellini: “clima, inquinamento, biodiversità a rischio. È ora di essere lungimiranti”

Il protagonista di incredibili imprese e divulgatore ambientale a colloquio con Spazio Pubblico

“Ancora oggi si commette il grande errore di crederci separati dalla natura: l’uomo al centro e la natura al servizio dell’uomo. La domanda che, secondo me, dovremmo farci è: di quale tipo di uomo ha bisogno la natura? Trovo sia fondamentale spostare l’attenzione dal qui e ora alle future generazioni. Bisogna ragionare su domande nuove, e una di queste domande che mi stimola molto è: come posso diventare un antenato migliore?”.

Alex Bellini è un esploratore e divulgatore ambientale, una sorta di straordinario testimonial della passione per la natura che nel corso degli anni si è cimentato in una serie di imprese incredibili. Giusto per citarne alcune: nel 2002 e 2003 ha camminato attraverso l’Alaska spingendo una slitta per 2.000 km. Nel 2005 ha remato da solo per 11.000 km attraverso il mare Mediterraneo e l’Oceano Atlantico per un totale di 227 giorni. Nel 2008 ha replicato remando per 18.000 km attraverso l’Oceano Pacifico, dal Perù all’Australia, in 294 giorni, ancora una volta da solo. Nel 2011 ha corso per 5.300 km da Los Angeles a New York, in 70 giorni. Nel 2017 in Islanda ha attraversato il Vatnajokull, il più grande ghiacciaio d’Europa, con sci e slitta in 15 giorni. Dal 2019 è impegnato nel progetto “10 rivers-1 Ocean” con l’obiettivo di navigare i dieci fiumi più inquinati al mondo.

Alex, cosa ti spinge a compiere tutte queste imprese?

Io credo che ognuno abbia dentro di sé della dinamite. Qualcuno la chiama energia vitale. La dinamite, se non la conosci, se non la coltivi, se non la utilizzi a fin di bene, poi a un certo punto può esplodere. Faccio quello che faccio per andare a conoscere la mia dinamite, la mia energia vitale, per applicarla in maniera che generi un impatto positivo per me, la mia famiglia e le persone che vengono esposte alla mia attività. L’esplorazione è una cosa seria, non certo un passatempo.

Come hai visto cambiare il mondo, in questi anni?

L’ho visto un po’ peggiorato. Ho visto cose dove non dovrebbero essere e non ho visto cose dove invece dovrebbero essere. Fiumi di plastica o una grande quantità di rifiuti in mezzo all’oceano. E, invece, dove dovrebbero esserci biodiversità, natura, vegetazione rigogliosa, non ne ho trovate.

Un esempio?

Sono appena tornato dal Mozambico: nel nord di questo territorio c’è una regione che si chiama Cavo Delgado che in questo momento vive un momento caldo per quanto riguarda il terrorismo. Però quello che più mi ha colpito è l’assenza quasi totale di vegetazione nei primi 40-50 km dalla costa. Ciò è accaduto perché nel corso di questi decenni hanno disboscato per far spazio a piccoli campi di coltivazione, che però sono stati sempre più colpiti dal riscaldamento globale: aridità, siccità, uragani, tifoni. E così lì non sopravvive più niente. Il risultato? Ora c’è una specie di savana, sostanzialmente un semi-deserto.

Percepisci qualche segnale di speranza?

Siamo nati e cresciuti in un ambiente e in una cultura che hanno stimolato molto in noi la competizione, l’individualismo. Dovremmo sentirci tutti quanti sulla stessa barca, che è il messaggio che porto con me su una specie di vela mentre navigo i fiumi più inquinati, ma siamo tuttora inseriti in un sistema di pensiero che ci vede gli uni contro gli altri, gli uni a doversi difendere dagli altri. Io però sono ottimista per natura. Vedo delle piccole cellule di cambiamento, vedo una sensibilità ambientale che prima invece era solo appannaggio di filosofi, pensatori o scienziati. Oggi aumenta la sensibilità, anche forse con i movimenti giovanili e di protesta. Oggi c’è gente che ha il coraggio di credere di poter fare la differenza. Sono chiaramente ancora piccoli focolai, un po’ separati e scollegati tra di loro, serve una rete per metterli assieme. Un’altra cosa secondo me estremamente interessante è tutto il movimento delle benefit corporation.

Come porre al centro il tema dell’ecologia, del rispetto dell’ambiente, dei cambiamenti climatici?

Con l’educazione. E con la formazione di una nuova classe politica che non sia vittima della tirannia del voto, della tirannia del consenso a breve termine. L’ecologia, la sostenibilità, il clima, non fanno guadagnare voti, anche perché il beneficio è in capo a persone che non sono ancora nate. Quindi è illogico, oggi come oggi, nel sistema attuale puntare sul tema climatico, perché il sistema è volto a massimizzare tutti i benefici possibili. Ma questa idea di navigare con un orizzonte temporale brevissimo è un guaio.

Servirebbe quindi una forte volontà politica…

Certo. Senza volontà politica possiamo fare pochi passi, che sono anche estremamente faticosi. C’è necessità di supportare l’incentivazione delle migliori pratiche e la disincentivazione delle pratiche meno virtuose. Dal canto suo, il singolo deve anche accettare l’idea di riconoscere che nessun piccolo cambiamento è troppo piccolo, nessuna piccola azione è troppo piccola. Bisogna creare il sistema affinché possano nascere nuovi pensieri, nuovi modi di pensare, nuovi modi di produrre. In sintesi, nuovi modi per stare al mondo.

 

di Valerio Ceva Grimaldi