carceri

L’effetto domino delle carceri, in Italia e in Europa

Mentre in tutta Europa ci si affanna a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, il nuovo Ddl Sicurezza, in Italia, va nella direzione opposta, inasprendo le pene e introducendo nuovi reati

Strutture sovraffollate e vecchie, personale insufficiente. Queste le principali criticità delle carceri italiane che impattano significativamente sulla salute psicofisica dei detenuti e non solo. Un quadro drammatico che varca i confini nazionali, coinvolgendo, con specificità diverse, molti Paesi europei. Quello del sovraffollamento, in particolare, è un fenomeno preoccupante nel nostro Paese, che rischia di portare all’ingestibilità e al crollo del sistema carcerario. Sono tanti, infatti, gli intellettuali e politici italiani che propongo di ispirarsi al modello nordeuropeo che, puntando molto sulla rieducazione del detenuto e sulle pene alternative al carcere, in particolare per i reati di minore gravità, svuota le strutture rendendo il sistema più sostenibile per detenuti, agenti e tutto il personale incaricato. Ciononostante, in Italia, il nuovo Ddl Sicurezza approvato alla Camera, in barba ad ogni allarme lanciato, va nella direzione opposta inasprendo pene già esistenti e introducendo nuove fattispecie di reato che porterebbero ad un incremento degli ingressi in carcere, gravando su una situazione già emergenziale. Per questo Cgil e Uil, insieme a molte associazioni, hanno deciso di scendere in piazza, oggi alle 16.30 a Roma, in piazza Vidoni, contro il nuovo disegno di legge.

Il grave fenomeno del sovraffollamento

È del 112% il tasso di affollamento delle nostre carceri, con una presenza (a giugno 2023) di circa 57mila detenuti, a fronte di una capienza massima di 51mila posti. In alcune regioni ed istituti il tasso arrivare persino a superare il 150%, secondo i dati del Ministero della Giustizia. Una condizione che rende la vita all’interno del carcere un inferno: mancanza di spazio, difficoltà di accesso ai servizi igienici, scarsa qualità del cibo e difficoltà di partecipazione alle attività formative e lavorative.

Molti detenuti, poco personale

A ciò si somma che il personale in molte realtà carcerarie è del tutto insufficiente. Non stiamo parlando unicamente degli agenti di polizia penitenziaria – certamente indispensabili – ma anche del personale sanitario, tra cui psicologi e psichiatri. A fronte, dunque, di un numero elevato di detenuti, al contrario il personale che dovrebbe occuparsene scarseggia, complicando non poco lo svolgimento del proprio lavoro.

Carceri in pezzi

E poi ci sono gli istituti che in moltissimi casi sono vecchi e fatiscenti e non riescono a garantire una permanenza dignitosa al loro interno. Emblematico il caso delle alte temperature, esploso questa estate con picchi di calore fino a 43 gradi all’interno delle strutture. Le carceri meno moderne non erano in grado di fronteggiare la situazione, non avendo adeguati impianti di ventilazione o climatizzazione né caratteristiche di isolamento termico. Una situazione non solo insostenibile ma anche pericolosa per la salute dei detenuti e del personale costretto a trascorrere diverse ore lì dentro. Il caldo estremo, infatti, peggiora le condizioni igieniche e la salubrità dell’ambiente, favorendo, al contrario, la diffusione di malattie.

L’effetto domino delle difficoltà

Va da sé che laddove la vita del carcere non sia, già di per sé, una “passeggiata di salute”, le condizioni critiche in cui versa l’intero sistema non fanno altro che acuire le difficoltà di chi vive e di chi lavora al suo interno. A causa degli spazi stretti, del caldo e delle condizioni precarie, aumenta lo stress, aumentano le aggressioni, aumentano le malattie, i disturbi mentali ed eventi drammatici come il suicidio, con uno dei tassi più alti in Europa. Nel 2022, infatti, ben 84 detenuti e 15 agenti si sono tolti la vita.

E quel che è peggio è che si innesca un circolo vizioso. Perché se le criticità delle carceri aumentano il grado di disagio di detenuti e personale, è altrettanto vero che a causa di quelle stesse criticità non si riesce ad intervenire adeguatamente. Scarseggiano i professionisti della salute che dovrebbero occuparsi prontamente dei casi di sofferenza psichica e delle patologie diffuse, le strutture non sono abbastanza moderne per rispondere alle necessità più basilari, gli agenti sono pochi e sotto stress e non riescono a gestire gli animi dei detenuti. Mirare al riscatto e reinserimento sociale dell’individuo, in queste condizioni, diventa davvero complicato.

E cosa accade nel resto del Continente?

Non si discostano di molto gli esempi di Francia e Regno Unito che soffrono, anch’esse, di un sistema carcerario sovraffollato e sotto pressione, con tassi di affollamento rispettivamente del 118 e 110%, non senza implicazioni sulle condizioni di vita e di lavoro al suo interno. Molto più bilanciata la situazione di Spagna e Germania dove il tasso di occupazione delle carceri arriva al 90%. Sono, poi, un vero e proprio esempio positivo i Paesi nordici (come Norvegia, Danimarca e Svezia) dove i tassi di affollamento sono talmente bassi da rendere di fatto possibile l’obiettivo della riabilitazione e del reinserimento sociale dei detenuti.

E allora, forse, vale la pena riflettere. Perché se è vero che il fine ultimo della detenzione in Italia non è la mera punizione ma la possibilità di riscatto, la rieducazione e il reinserimento nella società, allora dovremmo sinceramente chiederci: in queste condizioni è davvero possibile?

 

di Martina Bortolotti