Gianfranco Viesti sui servizi pubblici

L’economista Viesti: “Investire subito nella PA, la carenza di personale mette a rischio i servizi”

La Legge di Bilancio? “È un chiaro messaggio all’elettorato della maggioranza”

Venerdì 2 dicembre la Fp Cgil ha presentato il rapporto “Piano straordinario per l’occupazione nel settore pubblico”, fotografando una situazione preoccupante. Occorre un piano pluriennale di assunzioni per circa 1 milione e 200 mila unità per tamponare i pensionamenti (700mila entro il 2030) ed i fabbisogni di personale necessari per garantire i servizi ai cittadini. Sul tema, abbiamo raccolto il commento dell’economista Gianfranco Viesti, professore di Politica economica all’Università di Bari e autore di numerosi testi e pubblicazioni.

Professor Viesti, la Fp Cgil ha lanciato l’allarme: in assenza di un numero massiccio di assunzioni, l’erogazione dei servizi pubblici è a rischio. Quale è la sua valutazione?

Mi pare indiscutibile. L’amministrazione italiana ha una disponibilità di personale inferiore a quella degli altri Paesi europei. Certo, il confronto non è semplicissimo per la diversa organizzazione dei sistemi, ma gli scarti sono molto ampi. Il numero dei dipendenti pubblici si è fortemente ridotto negli ultimi dieci anni a seguito di politiche di austerità e di un‘impostazione politica che non ha saputo dare il giusto peso al ruolo del settore pubblico. Per questo è opportuno che si portino all’attenzione dell’opinione pubblica simili evidenze. Tra l’altro circolano ancora troppi luoghi comuni secondo i quali il nostro Paese abbonderebbe di dipendenti pubblici, ma purtroppo la realtà è ben diversa.

Quali sono le difficoltà che un amministratore pubblico deve affrontare ogni giorno a causa della mancanza di personale? E come questa circostanza si riverbera su cittadini e imprese?

Gli effetti li possiamo vedere ad esempio sul Pnrr. Le amministrazioni centrali hanno avuto difficoltà ad organizzare questa enorme materia di intervento. Le varie misure presentate o ammesse al finanziamento, sono state valutate attraverso un’analisi svolta di volta in volta in modalità diversa. Ma ancora più forti sono state le difficoltà delle amministrazioni locali. In primis i Comuni, le società di trasporto, le ASL, che nei 12 mesi passati hanno dovuto presentare tantissimi progetti per il Pnrr; ora bisogna capire se saranno capaci di attuarli. Le continue preoccupazioni su eventuali ritardi è quindi strettamente legata a questa circostanza. In fondo siamo consapevoli di disporre di un’amministrazione troppo debole per realizzare un piano così ampio. Infine, oltre a quanto detto, non vanno dimenticate tutte le criticità già presenti nell’erogazione dei servizi ordinari che la PA dovrebbe fornire ai cittadini e alle imprese.

Cosa comporta il rischio di una scarsa attrattività del “lavoro pubblico”?

La PA è poco attrattiva, è vero. Avendo subito negli ultimi anni continui e ripetuti blocchi del turn-over, non ha offerto sbocchi alla richiesta di lavoro dei cittadini. Tutto ciò è avvenuto nella scuola, nella sanità, nelle amministrazioni centrali e locali. È necessario riaprire i canali di assunzione e successivamente svolgere una riflessione sull’attrattività del settore pubblico, in senso di condizioni lavorative e retributive. In particolare, sarà fondamentale intervenire affinché le competenze più giovani che entrano nella PA siano adeguatamente valorizzate, attuando le giuste comparazioni con il settore privato.

Una pubblica amministrazione con poco personale significa anche meno diritti per i cittadini. Cosa bisognerebbe fare, nell’immediato?

Assolutamente si. Significa meno sanità, meno istruzione e maggiori difficoltà nella vita di tutti i giorni dei cittadini. Quello che bisognerebbe fare è potenziarle quantitativamente e qualitativamente. Organizzarle in maniera più efficace, puntando sulle opportune semplificazioni e sfruttando le tecnologie digitali. Ovviamente questi interventi non saranno sufficienti se non verranno accompagnati ad un rafforzamento del personale e un ridisegno del suo funzionamento.

Investire nella PA significa investire nel Paese. Quali sono i filoni che ritiene siano più strategici?

Naturalmente tutti sono strategici allo stesso modo. Però credo che le criticità maggiori interessino i Comuni. Sono stati soggetti ad una riduzione del personale di circa un terzo ed ora strutturalmente non sono in grado di svolgere il proprio dovere. Un taglio del personale tra l’altro asimmetrico, che ha colpito maggiormente le amministrazioni del centro-sud con gettito fiscale più basso. L’altro comparto cruciale è senza dubbio quello socio-sanitario. Il tentativo del Pnrr di potenziare la disponibilità di servizi sul territorio si scontra con un’oggettiva mancanza del personale sanitario, del tutto inadeguato a garantire la qualità del servizio pubblico. Infine, per la scuola il discorso è diverso in quanto sta affrontando una riduzione verticale degli studenti, che andrà via via ad aumentare. In questo caso penso ci sia bisogno di una particolare riflessione al fine di migliorare la qualità dell’insegnamento che attualmente siamo capaci di offrire.

Come giudica la Legge di Bilancio attualmente delineata dal governo?

Non mi pare che il settore pubblico sia al centro delle attenzioni di questo nuovo governo. È una Legge di Bilancio di modesta entità, che cerca di lanciare segnali soprattutto al bacino elettorale della maggioranza. Non mi pare ci sia l’intenzione di iniziare ad affrontare le problematiche che abbiamo affrontato. Dal mio punto di vista è evidente un’attenzione particolare ai lavori autonomi a reddito medio-alto, a cui attraverso l’estensione della Flat-Tax, viene offerto un trattamento fiscale di favore rispetto ai dipendenti pubblici e privati. A mio modo di vedere questo configge in maniera evidente con i principi costituzionali.

E il suo giudizio sull’autonomia differenziata quale è?

Assolutamente negativo. Le regioni più ricche come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna chiedono competenze talmente estese da configurarsi come delle vere e proprie regioni-Stato. Ne conseguirebbero ulteriori difformità nel funzionamento dei servizi pubblici in tutte le materie essenziali e criticità nell’erogazione delle politiche pubbliche. Aggiungo che è pericoloso anche per i cittadini che abitano in quelle stesse regioni: non è detto che un passaggio del potere dalle amministrazioni centrali a quelle locali possa comportare un vantaggio.

 

Di Matteo Mercuri