“L’autonomia differenziata sgretolerà l’uguaglianza dei diritti. A partire da quello alla salute”

Saggista, giornalista, da sempre attento ai temi economici e sociali, Marco Esposito denuncia le distorsioni di un sistema che farà esplodere le disuguaglianze. E la perequazione? “Una presa in giro: il Fondo è stato tagliato da 4,6 miliardi a 890 milioni”

Il dl Calderoli è legge da pochi giorni. Quali sono i punti più critici?

Siamo di fronte ad una legge di attuazione della Costituzione che in qualche modo avrebbe dovuto spiegarla. Cosa che non fa. Anzi! Mettiamo che una Regione chieda determinati poteri: come si fa a stabilire se è corretto o no? Se una Regione richiede che i binari ferroviari diventino suoi, relativamente alle concessioni, è giusto? E’ sbagliato? E’ conveniente per il Paese? Non c’è nessun criterio che stabilisca chi decide cosa. Il tutto si riduce ad una trattativa diretta tra la singola Regione e i ministri del governo. Se poi alla fine si approva la richiesta, ciò che è ancora più negativamente sorprendente è che sia il monitoraggio, e quindi il controllo, che la gestione sono affidati a una Commissione paritetica in cui sono presenti solo i soggetti interessati direttamente, cioè la Regione e i rappresentanti dei ministri competenti. Il Parlamento potrà dire solo o un sì o un no all’intesa. E questa Commissione viene replicata per ogni singola intesa e per ogni singola Regione. E così si creeranno centinaia di soggetti di controllo.

La legge prevede l’invarianza di spesa e la perequazione. Con che conseguenze?

Se dai dai un euro in più a qualcuno a qualcun altro dovrai toglierlo. Di qui non si scappa. Quanto alla perequazione, che vuol dire mettere a pari livello i territori, contemporaneamente all’approvazione della legge Calderoli il governo ha tolto quasi tutti i soldi dal relativo Fondo: i 4,6 miliardi da spendere entro il 2033 sono stati ridotti a 890 milioni. E’ una presa in giro, un chiaro segnale che la perequazione non la vuoi fare.

I Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ancora da fissare per determinate materie, possono rappresentare una garanzia?

Ci sono casi in cui i Lep stanno funzionando. Per esempio per gli asili nido, dopo una battaglia che è stata vinta e della quale sono stato uno degli antesignani con il mio libro Zero al Sud (Rubbettino). Purtroppo in molti altri casi i Lep sono stati facilmente aggirati. Pensiamo alla sanità: ogni anno si certifica che ci sono Regioni che non soddisfano i Lea, i Livelli essenziali di assistenza, però poi non succede nulla. E le persone continuano ad andare da sud a nord per curarsi. Non è detto, quindi, che un Lep porti equità, né che un Lep abbia un livello adeguato. Si potrebbe anche introdurre un Lep ad un livello così basso, per esempio un autobus al giorno per raggiungere il capoluogo di provincia, che sostanzialmente non garantisce nulla. Ancora, potremmo porre il caso della scuola: una lavagna con i gessetti si prevede per tutti, ma poi la Lim (la lavagna interattiva multimediale) e il laboratorio se li pagano solo chi ha i soldi. Così il Lep può diventare un primo gradino sul quale poi costruire i divari.

Che ricadute avrà l’autonomia differenziata sulla vita, e i diritti, dei lavoratori e dei cittadini?

I divari aumenteranno. Purtroppo questa è una certezza. Già oggi su alcune specializzazioni, pensiamo per esempio ai medici del pronto soccorso, i posti coperti sono un terzo. Sono necessari mille posti? Si presentano in 300, ne restano scoperti 700. A quel punto accade che le Regioni con più soldi in cassa cercheranno, e potranno farlo, di aumentare le retribuzioni, i servizi accessori, il cosiddetto welfare aziendale, per attirare i medici. E a quel punto “attireranno” anche i pazienti e i diritti che si portano con sé. I salari saranno regionalizzati. Di fatto si cancellerà il Contratto nazionale, perché il contratto viene fatto direttamente dalla Regione che assume direttamente i sanitari. E tutto ciò accade in una fase di fortissima crisi demografica, dove i giovani sono pochi e quindi ci sarà una grande difficoltà a sostituire i lavoratori che inevitabilmente andranno in pensione. Siamo un Paese folle: c’è la crisi della sanità e cosa si fa? Si decide di far andare in pensione gli infermieri invece che a 67 anni a 70, e i medici a 72. Così non facciamo altro che spostare un pochino in avanti l’asticella. Come se poi, dopo 3 o 5 anni, avessimo davanti a noi la soluzione del problema perché sono in arrivo i giovani che si sono iscritti a medicina. Il problema, invece, è che i giovani sono meno di prima e quelli che seguiranno saranno ancora di meno, perché l’energia demografica dell’Italia si è esaurita. Così rinviamo un problema che ci ritroveremo ancora più grave fra qualche anno.

E così la garanzia del diritto fondamentale alla salute appare sempre più lontana…

L’autonomia differenziata rende più difficile gestire la sanità e l’invecchiamento della popolazione fa aumentare spaventosamente le persone che avranno bisogno di esercitare quel diritto alla salute. In alcune parti d’Italia questo diritto diventerà sostanzialmente evanescente, proprio per l’assenza di persone qualificate sul territorio. Noi abbiamo degli interessi collettivi e degli interessi individuali: quanto ai secondi, per un medico sarà più conveniente spostarsi al nord o all’estero. Ciò renderà, nei fatti, meno conveniente per le persone rimanere nei territori deboli. Per esempio territori come la Calabria e la Basilicata, che già si stanno fortemente impoverendo. L’autonomia differenziata accelera, e quindi aggrava, una situazione che è già di per sé seria. Ecco perché è una follia. Così si gioca con la vita delle persone.

E’ appena iniziata la campagna di raccolta firme per il referendum per abrogare questa legge.

Andrò a firmare il prima possibile. E, in ogni caso, è un modo molto importante per parlarne. Ho il piccolo orgoglio, insieme a pochi altri, di aver denunciato i rischi dell’autonomia differenziata fin da subito. Ricordo che nel primo incontro pubblico che organizzammo con Gianfranco Viesti a Roma nel settembre 2018 si presentarono una dozzina di persone. Distratte, per lo più. Alla fine, però, il tema è arrivato al centro del dibattito pubblico. Il referendum, quindi, aiuterà tantissimo perché è vero che c’è una quota di persone che non vota, ma ce n’è anche un’altra che di fronte a un tema così importante ora comincia a interrogarsi.

Autonomia differenziata, quindi, vuol dire cosa?

Significa diritti differenziati per residenza, significa dire alle persone “hai un disabile in famiglia? Hai uno studente che deve andare a scuola? Ok, però sei calabrese quindi ti tocca di meno”. Ci saranno lavoratori pagati meno, ci saranno cittadini che hanno meno diritti degli altri in base ad un unico parametro: la residenza regionale. Tutto ciò è i-n-a-c-c-e-t-t-a-b-i-l-e”.