La montagna italiana tra spopolamento e innovazione

La montagna italiana tra spopolamento e innovazione

Il fatto che l’Italia sia una penisola e che “la terra dai cinque/sei mari” sia sempre stata una delle frasi fatte dei sussidiari delle allora scuole elementari spesso fa dimenticare che la natura ha dotato la nostra nazione anche del maggiore monte d’Europa e di notevoli alture. Per capire quanto sia in Italia il territorio montano, basti pensare che si parla di 4.200 comuni, di quasi il 60% della superficie e di una popolazione stimata in 14 milioni di cittadini.

Purtroppo, però, troppo spesso la parola “montagna” viene collegata a quella “spopolamento” in un’associazione di idee mediatica vista come inevitabile ed implacabile; a parte immagini oleografiche legate al turismo, infatti, le terre alte soffrono per mancanza di servizi, scarse possibilità lavorative, invecchiamento della popolazione e problematiche climatiche e di viabilità. La situazione, a parte poche e fortunate eccezioni, è comune a tutte le regioni italiane, da nord a sud, da est ad ovest: i giovani scivolano in discesa verso valle, le persone anziane rimangono in paesi sempre più vuoti e sempre più scarni di attività.

Negli ultimi venti anni la forte spinta all’informatizzazione di alcuni importanti players (ad esempio banche, aziende pubbliche e di servizi) ha creato una perdita di luoghi fisici di produzione; interi settori di popolazione sono rimasti però esclusi dall’evoluzione e molte persone, non solo anziane, sono rimaste prive della possibilità, ad esempio, di prelevare denaro contante o verificare un contratto o una bolletta.

Fortunatamente nell’ultimo anno e grazie anche ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza alcune aziende hanno iniziato a restituire alle persone geograficamente vulnerabili alcuni touch points fisici multicanale. Stanno nascendo sportelli telematici assistiti presso Comuni ed enti pubblici e privati in cui vengono erogati servizi a distanza con l’aiuto di funzionari o volontari e le Pubbliche Amministrazioni hanno creato sinergie per fornire prodotti afferenti a più realtà in un unico ufficio presidiato da personale appositamente formato.

Una soluzione al problema? Ovviamente no. Un inizio o una proposta per colmare un gap? Certamente, anche se limitato al contrastare una particolare forma di problematica. Senza una politica formativa e scolastica mirata, infatti, la tutela delle aree montane non può trovare una soluzione concreta e a lungo termine; i trasporti, molto spesso non coordinati tra rotaia e gomma, sono un altro punto debole da affrontare in maniera coordinata. Le terre alte, infatti, non vivono di solo turismo: una materia prima preziosa e richiesta come il legno soffre di una filiera poco efficiente e poco moderna. Con più del 30% del territorio italiano coperto da boschi, l’impatto sul valore della produzione agricola è minimo, anche per proprietà spezzettate su cui, se non si formano cooperative e consorzi, sono impossibili investimenti e accesso a contributi per la valorizzazione e per il miglioramento del processo di trasformazione.

La montagna italiana, diffusa su tutto il territorio, ha bisogno di un piano di tutela organico, pianificato a lungo termine ed omogeneo su tutta la nazione, per non far restare improduttive intere zone di altissimo potenziale e ricchezza e per evitare che, con la perdita di servizi sociali e sanitari, lo spopolamento diventi inevitabilmente irreversibile. La montagna non è cartolina dalle cime innevate; è una realtà italiana in cui vanno ottimizzati e gestiti i servizi per restituire un tessuto economico e sociale prezioso, pieno di potenziale ed insostituibile. Una ricchezza che, se ben curata, può tornare ad essere la spina dorsale dell’Italia. 

 

di Matteo Mercuri