La Asl che internalizza il personale e migliora i servizi ai cittadini

Parla il direttore dell’Azienda Cuneo 2 Massimo Veglio: “urgente investire sull’attrattività delle professioni sanitarie”

“Internalizzare vuol dire investire sul personale e, quindi, sulla qualità del servizio. Come Asl ho delle persone che lavorano, stabilmente assunte, mentre con l’esternalizzazione è maggiore il rischio che l’ente terzo che prende la commessa preferisca contratti a tempo determinato. Il risultato è che, internalizzando, il servizio complessivo migliora e ci sono maggiori garanzie per i lavoratori”.

Una storia virtuosa quella raccontata da Massimo Veglio, direttore dell’Asl Cuneo 2, pronto a cogliere la palla al balzo fornita dalle previsioni di una legge regionale che ha deciso di spingere sull’internalizzazione dei servizi, collocando le nuove assunzioni provenienti da reinternalizzazione al di fuori del tetto di spesa per il personale.

Perché internalizzare “conviene”?

Da un punto di vista economico i vantaggi, quantomeno nel mio caso, non sono significativi. Sugli otto milioni di commesse l’Asl ha ‘guadagnato’ 100mila euro, che servono a coprire poche assunzioni in caso di rinunce. L’elemento fondamentale, per me, è un altro: l’aver fornito stabilità al sistema e reso l’organizzazione più efficiente, con ricadute fortemente positive sulla qualità del servizio ai cittadini. Sentirsi parte di una squadra migliora il servizio a 360 gradi. Il lavoratore inquadrato stabilmente e direttamente dall’Azienda Sanitaria è certamente più motivato a rimanere e ad aderire ai progetti della mia organizzazione.

Un esempio concreto?

Gli Operatori socio assistenziali. E’ stato il primo servizio che abbiamo reinternalizzato (era parzialmente esternalizzato quando sono arrivato). Nei reparti di degenza ci sono medici, infermieri e Oss che lavorano in equipe. Ora gli Oss lavorano insieme agli infermieri, sono un’unica squadra. In precedenza il personale “esternalizzato” doveva lavorare autonomamente. E’ un elemento assolutamente fondamentale. Così la qualità del servizio erogato è eccezionalmente maggiore. La stessa cosa accade per gli impiegati amministrativi: prima avevo persone che stavano agli sportelli ed avevano un elevato turn-over. Ora il mio personale amministrativo entra in un pool, si crea una squadra, abbiamo costruito una continuità dei processi.

Quali sono gli svantaggi dell’esternalizzazione?

Un presupposto della esternalizzazione, secondo la legislazione vigente, è che il servizio esternalizzato sia, da un punto di vista organizzativo, del tutto autonomo rispetto all’Asl. Io ritengo che più ci si avvicina alle attività collegate, più o meno direttamente, alle prestazioni sanitarie vere e proprie, più l’esternalizzazione si riverbera negativamente sulla qualità del servizio che l’azienda rende.

In che modo ciò accade?

Certamente posso verificare se il lavoro dato all’esterno viene fatto bene o male, ma io Asl non posso parlare col singolo operatore perché devo parlare con la sua organizzazione, che poi agisce. Sono, quindi, due servizi separati. Quando sono arrivato alla guida dell’Azienda non ero sereno rispetto al fatto che operatori come gli Oss fossero esternalizzati. Un altro esempio? La logistica, il magazzino: può essere opinabile che questo servizio sia appaltato a terzi perché se lo gestisco io direttamente posso essere più sicuro che funzioni meglio. La stessa cosa vale per una certa parte del personale amministrativo, che si occupa dei rapporti con l’utenza. E’ vero che questo personale non fa servizio sanitario tout court, però quelle operazioni sono molto connesse all’attività sanitaria: la prenotazione degli esami, il rispondere alle richieste, fornire l’informazione all’utenza sull’organizzazione dell’attività sanitaria. Ritengo sia importante che tutto questo agisca in stretta connessione con l’organizzazione.

Riesce a trovare i professionisti di cui ha bisogno?

E’ assolutamente necessario lavorare sull’attrattività delle professioni sanitarie. Quando io ho iniziato a fare il medico c’era un posto di lavoro per ogni 20 medici disponibili, quindi ero io ad essere disponibile a spostarmi, a voler fare qualsiasi orario, gli stipendi andavano benissimo. Non vedevo l’ora di convincere che avrebbero dovuto scegliere me piuttosto che gli altri. Adesso il rapporto è di un medico ogni dieci datori di lavoro che lo cercano, e quindi il focus è sulle condizioni di lavoro offerte. In più, ci sono pochi medici e infermieri rispetto ai bisogni. E’ chiaro che per fare questa operazione di internalizzazione devo reperire sul mercato un congruo numero di Oss, magazzinieri e impiegati amministrativi, devo poter fare concorsi e avere graduatorie sufficientemente ampie. Io, dal canto mio, uso anche la tattica di pubblicare bandi uno dietro l’altro, cerco di ridurre più possibile le variabili che dipendono dalla mia organizzazione. Tento, così, di accorciare i tempi. Qualche volta ci riesco, altre no…

Quali sono i numeri della sua Asl?

Siamo 2300 dipendenti. Da quando sono qui, cinque anni, ho reinternalizzato gli Operatori socio sanitari, la logistica (come gli operatori del magazzino) e il Cup-front office. Un totale di circa 200 persone per commesse di circa 8 milioni di euro.

Come si contrasta il fenomeno del ricorso ai cosiddetti ‘gettonisti” della sanità?

Bisognerebbe innanzitutto aumentare il numero delle persone disponibili: ci vogliono certamente più specialisti. Ogni anno in Italia si laureano circa 10.000 medici e se ne specializzano 7.000. I restanti 3.000, che non si specializzano, come Asl non posso assumerli. Quindi bisognerebbe aumentare il numero delle borse di studio, che può servire ad assumere quelli che si laureano in medicina e chirurgia. Qualcosa è stato fatto, ma solo recentemente. Ci vorranno alcuni anni per vedere dei risultati. Credo che occorra fare ancora di più. Poi c’è la fondamentale questione stipendi: sono troppo bassi.

Il 24 giugno ci sarà a Roma una grande manifestazione per difendere il diritto alla salute. Come Funzione pubblica Cgil abbiamo anche presentato un Piano straordinario di assunzioni (Piano Straordinario per l’Occupazione – FP CGIL).

Quello di investire su assunzioni e risorse è un percorso necessario, che condivido. Il sistema è sottofinanziato.

I numeri del Def certificano un vero e proprio definanziamento: il rapporto spesa sanitaria/PIL si riduce dal 6,7% del 2023 al 6,3% nel 2024 al 6,2% nel 2025-2026.

Così il Sistema sanitario pubblico rischia di andare, di fatto, a finire.

 

di Valerio Ceva Grimaldi