infermiere-di-famiglia

L’infermiere di famiglia, una figura che stenta a decollare

Con la pandemia ne sono stati chiesti 9.600, ne sono arrivati solo 1.100

Prevenire è meglio che curare. Perché allora intervenire sull’emergenza e non – piuttosto – programmare un piano di prevenzione della salute della popolazione? In buona sostanza è questo il compito dell’infermiere di famiglia e comunità, una nuova figura predisposta a riconoscere anticipatamente i bisogni della popolazione di uno specifico territorio o di una comunità. Riconoscere quei bisogni ed attivarsi, in collaborazione con tutte le altre figure professionali (medici, fisioterapisti, assistenti sociali, operatori sociosanitari, ecc), affinché si garantisca alle persone la massima qualità della propria salute e della propria vita.

Una figura nuova, quella dell’infermiere di famiglia, introdotta lo scorso anno dal Patto per la Salute e dal decreto Rilancio, ma di fatto già esistente in molte realtà locali, anche se prima d’ora mai definita e regolamentata. E ora fortemente richiesta, soprattutto a causa dell’emergenza pandemica per prendere in carico tutta la rete dei soggetti contagiati dal Covid-19. Stiamo parlando di professionisti con una formazione specialistica specifica (laurea magistrale, dottorato o master), che non hanno il compito di agire sul bisogno urgente del paziente, ma di fare un piano di valutazione dei bisogni di salute e dei fattori di rischio di un territorio, e un piano di prevenzione e di intervento.

Nonostante questo, l’infermiere di famiglia e comunità fatica a decollare. Le risorse ci sono, le direttive del Governo pure, eppure le Regioni non si mobilitano come dovrebbero e preferiscono continuare ad agire sull’emergenza. Il decreto Rilancio parla chiaro: occorre l’assunzione di 8 infermieri di famiglia ogni 50mila abitanti, per un totale di 9.552 infermieri. Di questi ne sono stati individuati solo 1.132 (meno del 12%).

“Corriamo il rischio di andare verso un flop – commenta Giancarlo Go, responsabile degli infermieri della Fp Cgil -. La maggior parte delle Regioni, soprattutto quelle caratterizzate da una sanità privata, concentra il proprio sforzo sulle prestazioni ospedaliere e sulla risposta diretta al bisogno del paziente. Manca una lungimiranza, si ragiona sempre in termini di ricavo: se faccio l’intervento al paziente ho un guadagno, non si intende agire nella prevenzione, manca la volontà di investire in questa figura, nonostante le risorse ci siano. Io li paragono un po’ come ai vigili del fuoco: il vigile del fuoco non sta dalla mattina alla sera a spegnere incendi, si occupa anche di prevenzione. Si deve uscire dall’idea della mera prestazione ospedaliera, bisogna guardare oltre ed entrare nell’idea che possiamo essere d’aiuto e offrire prestazioni di qualità al cittadino ancora prima che ci venga richiesto”.

E aggiunge Go: “Come può un infermiere di famiglia, che deve svolgere un lavoro di continuità nel tempo sulla comunità, essere assunto con contratti di lavoro autonomo? Noi ci aspettiamo che sia un lavoratore del nostro Servizio Sociosanitario Nazionale”.