Italia fanalino di coda su salute mentale. E intanto i disturbi aumentano

I più colpiti i giovani, vittime di precarietà e pressione sociale. Anche per questo il 19 ottobre scenderanno in piazza

Negli ultimi anni si è registrato un costante aumento dell’attenzione e della sensibilità al tema della salute mentale, sempre più oggetto di indagini e monitoraggi. Al tempo stesso, purtroppo, è in aumento anche il malessere delle persone. E i più colpiti sono i giovani, vittime di instabilità e aspettative sociali. Ciononostante, la spesa riservata alla salute mentale, in Italia, è al minimo. E rivolgersi al privato rappresenta dei costi impossibili da sostenere per moltissime persone. Anche per questo sabato 19 ottobre Cgil e Uil saranno in piazza del Popolo, a Roma, contro un sistema che non garantisce a tutti l’accesso alle cure.

È ciò che emerge dai dati forniti dallo studio “Headway – Mental Health Index 2.0” secondo cui circa il 20% degli italiani soffre di almeno un disturbo psichico. Parliamo di ansia, depressione e di disturbi più gravi come la schizofrenia o il bipolarismo. Per quanto riguarda le fasce d’età più giovani, secondo i dati OMS, sono circa 2 ragazzi su 10 ad aver sperimentato sintomi di ansia e depressione. E il 35% ha avuto – specie durante la pandemia – disturbi del sonno. Altro problema diffuso è quello dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione che coinvolgono 3 milioni di persone in Italia, con un’incidenza maggiore tra i più giovani fino ai 25 anni. Un problema che ha subito un’importante impennata del 30% durante la pandemia. Sono, infine, il 10% dei ragazzi ad aver avuto, nel corso dell’ultimo anno, pensieri di suicidio o di autolesionismo.

Il senso di instabilità

Ma quali sono le cause di questo malessere diffuso? E perché tocca proprio i più giovani? Le ragioni sono diverse. Per cominciare, non è affatto d’aiuto la condizione di precarietà che le nuove generazioni stanno vivendo, tra conflitti mondiali, crisi climatica, povertà, disoccupazione. Tutti elementi che lasciano addosso un condiviso senso di instabilità per il proprio futuro e per la propria sicurezza. 

L’impatto dei social media

A questo si somma una sensazione diffusa di solitudine che porta spesso i più giovani alla spasmodica ricerca di relazioni online che, però, non possono sostituirsi alla complessità delle amicizie reali. Non solo, ma la vita virtuale impone le sue regole, molto severe, sul prototipo di vita da mostrare: standard estetici, vacanze di lusso, felicità ostentata. I social network creano una patina di euforia che, se non ben contestualizzata, rischia di provocare nelle persone più fragili un forte senso di inadeguatezza e solitudine. Si fugge, dunque, dalla solitudine, e si finisce per caderci dentro. Secondo una ricerca dell’Università di Milano-Bicocca del 2022, infatti, circa il 40% degli adolescenti ha sperimentato un impatto negativo su autostima e benessere psicologico a causa dell’uso intensivo dei social, con un particolare rischio per le ragazze di sviluppare disturbi dell’immagine corporea.

Le aspettative sociali

E poi c’è il fattore della pressione sociale: in una società che propone un modello di performatività che accompagna l’intera vita dell’individuo, dalle scuole fino al mondo del lavoro, dove il voto scolastico qualifica il proprio valore, e dove produrre freneticamente al lavoro è segno di successo, è facile finire vittime della pressione sociale.

Quali sono le risposte?

Oggi, l’Europa, sta affrontando una vera e propria emergenza legata alla salute mentale. Ma come rispondiamo a questo bisogno di presa in carico? A chi può rivolgersi una persona in difficoltà? La Commissione Europea se ne sta interessando: il 45% dei Paesi ha già messo in atto programmi di prevenzione e promozione della salute mentale legati al lavoro, mentre il 68% ha attuato una strategia o un programma nazionale incentrato sulla promozione e la prevenzione della salute mentale per bambini e adolescenti.

I numeri in Italia, però, non sono confortanti. Infatti, il nostro Paese è tra quelli che investe meno in salute mentale. L’OMS raccomanda di riservare ai servizi di salute mentale un investimento di almeno il 5% della spesa sanitaria complessiva. L’Italia dedica tra il 3 e il 3,5%. A seguire solo Bulgaria e Romania con il 2%. Il resto dei Paesi europei viaggia su cifre molto diverse: fa da apripista il Regno Unito con un investimento del 13-14%, a seguire Paesi Bassi, Svezia e Germania (10-12%), e anche Francia (7-8%).

Non rincuora nemmeno il numero di specialisti dedicati. Secondo i dati del Ministero della Salute e di Istat, infatti, In Italia ci sono circa 8 psichiatri ogni 100mila abitanti, per un totale di 8-9mila professionisti. Un rapporto numerico non adeguato alla crescente richiesta di supporto psicologico. Lo stesso vale per gli psicologi impiegati nel Servizio Sanitario Nazionale che sono appena 5mila.

A rispondere ai bisogni di salute della popolazione dovrebbero esserci i centri di salute mentale, diffusi in tutto il territorio nazionale. Ma la grave carenza di personale e l’elevata richiesta di supporto permettono ai pochi professionisti a disposizione di prendere in carico solo i casi più gravi: i pazienti che hanno già sviluppato patologie molto serie e, comunque, croniche. Se volessimo intervenire, invece, sull’insorgenza di un nuovo disagio, non saremmo in grado di farlo.

Secondo Andrea Filippi, psichiatra e segretario nazionale di medici e dirigenti SSN della Funzione Pubblica CGIL, “in realtà, il fatto che oggi i giovani manifestino più apertamente il loro disagio è un segnale positivo di de-stigmatizzazione, di maggiore disponibilità a riconoscere le proprie difficoltà. È un segnale evolutivo di maggiore consapevolezza di sé stessi. È, se vogliamo, un segnale importante di rifiuto di una società che fa ammalare: individualista, incentrata sulla competizione, in cui ognuno è capitalista di sé stesso. Ma noi a questi giovani non sappiamo dare risposte strutturali incentrate su una promozione della salute fatta prima di tutto fuori dai servizi di salute mentale. E quando ci chiedono espressamente aiuto, i servizi non sono in grado di dare risposte: la psicoterapia nel pubblico è completamente assente e non sono sufficienti le risposte parziali dei bonus governativi. Sabato 19 ottobre saremo in piazza per ribadire che tutti hanno diritto alla salute e che curarsi o intraprendere un percorso di sostegno psicologico non può essere un lusso di pochi”.

È, infatti, estremamente scarsa la risposta dei servizi pubblici per disturbi psichici più lievi che richiederebbero un sostegno psicologico e interventi preventivi per evitarne la cronicizzazione. Insomma, interveniamo quando il gioco è fatto. Eppure, intercettare in tempo un segnale di malessere può fare la differenza tra la guarigione e l’insorgere di una patologia. Ma per prevenire i malesseri psicologici delle persone, in una fase di tale incertezza, avremmo bisogno di molte ma molte più risorse in campo. E così finisce che chi può spende cifre esorbitanti per un percorso privato e chi non può, semplicemente, rinuncia a curarsi, con tutte le conseguenze che questo comporta.

 

di Martina Bortolotti