“Scendo in piazza per difendere la sanità pubblica e universale”

“Scendo in piazza per difendere la sanità pubblica e universale”

Mirella Ricci, medico di medicina generale: “Il diritto alla cura deve poter essere garantito a tutti, a prescindere da chi sei, da quanti soldi hai, da dove vieni”

Laurea nel 1989 in medicina e chirurgia a Firenze, nel ‘90 un diploma in Bioetica e un altro per esercitare in qualità di medico di emergenza territoriale. Nel ‘94 la specializzazione in geriatria e gerontologia, nel ‘98 inizia ad esercitare come medico di medicina generale in provincia di Arezzo. Da allora ha continuato su questo percorso. “Io ho sempre voluto fare il medico”, confida. Il 24 giugno sarà in piazza, a Roma, per difendere la sanità pubblica e il diritto alla salute. “Dobbiamo assolutamente salvaguardare il Servizio Sanitario nazionale, non ci possiamo arrendere”.

Mirella, com’è cambiata la sanità negli anni?

Con il passare del tempo ho assistito alla desertificazione della medicina territoriale, a una riduzione dell’organico all’interno dei distretti sociosanitari, a un depotenziamento anche dei medici di medicina generale, a un generale invecchiamento dei medici stessi, che oltretutto sono sempre di meno. Io, ogni giorno, constato che c’è un aumento di richiesta di salute, perché la popolazione invecchia e ci sono sempre più fragilità. C’è un boom di accessi al pronto soccorso. Il Covid avrebbe dovuto insegnarci a ripensare a una medicina territoriale che mette al centro il cittadino e che riesce a tenerlo a domicilio.

E invece?

In realtà non abbiamo imparato la lezione. A tutt’oggi non c’è stato un potenziamento della medicina territoriale e non c’è stato nemmeno un ripensamento della figura del medico di medicina generale, passando dal convenzionamento alla dipendenza, per sanare una frattura che si è creata nel tempo tra medicina territoriale e ospedale e quindi per ricondurre a sintesi le varie figure del SSN. Penso anche alla telemedicina: è utilissima, ma senza operatori ha poco valore. Anche le case di comunità sono importanti ma se poi, anche in questo caso, diventano contenitori vuoti senza operatori, si rischia di nuovo l’inutilità.

Quali altri ostacoli incontri nella tua professione?

In questi anni ho registrato un aumento della burocrazia e una riduzione dei tempi di cura da dedicare ai pazienti, e anche della possibilità di dedicare un po’ di tempo a noi come professionisti. L’obiettivo deve essere quello di garantire a tutti l’opportunità di curarsi al di là delle possibilità economiche e di poter accedere a un servizio sanitario forte ed efficiente, mentre stiamo assistendo al fenomeno che vede le persone con minori possibilità economiche curarsi di meno. I tempi di attesa per le prestazioni sanitarie in generale sono di solito molto lunghi, e così i cittadini si rivolgono alla sanità privata. Spesso, guardando negli occhi i miei pazienti, penso a quanto dobbiamo lottare insieme per riportare ad essere considerata come una priorità la difesa del Servizio sanitario nazionale, un sistema che deve poter garantire l’accesso ai servizi a tutti e a tutte, a prescindere da chi sei, da quanti soldi hai, da dove vieni.

Perché scendi in piazza il 24 giugno?

Dobbiamo assolutamente farci sentire, tutti insieme. Il 24 è una grande occasione per far vedere che non ci sono idee diverse tra professionisti e cittadini, ma che abbiamo un’unica idea: un Servizio sanitario nazionale forte che poi si deve integrare con la sanità privata. Non deve accadere l’inverso. Dobbiamo difendere in prima persona il Ssn, non ci possiamo arrendere. La soluzione non può essere monetizzare la salute, che è un bene prezioso. Bisogna ricostruire questa grande comunità che si deve muovere insieme, a difesa del diritto alla salute e di un Ssn pubblico e universale”.

 

di Martina Bortolotti