“Tutti coloro che studiano i processi planetari sono concordi: stiamo per entrare in un territorio sconosciuto alla scala di evoluzione dell’umanità. Vuol dire che capiteranno fenomeni nuovi per i quali non siamo minimamente preparati. E chi dice che la comunità scientifica dei climatologi e degli studiosi del sistema Terra è divisa diffonde una fake news: la comunità scientifica non è affatto divisa, anzi”. Con il climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli abbiamo approfondito il tema del cambiamento climatico e delle prospettive del nostro pianeta, nonché della scarsa attenzione che gli Stati pongono alla grande sfida ambientale. “I grandi processi planetari che governano la vita sulla Terra sono così giganteschi e hanno dei tempi così lunghi che una volta che saranno attivati purtroppo non potranno tornare indietro. Bisognerebbe far capire alle persone l’importanza di questa sfida: vale la pena fare qualche sacrificio oggi per evitare danni enormi in futuro. Ma qual è quella politica che scommette su una visione a lungo termine, oggi? Nessuna”.
Quale è la malattia del nostro clima?
Duecento anni di Rivoluzione Industriale che hanno portato alla combustione di petrolio, carbone e gas con un aumento dei gas a effetto serra nell’atmosfera mai visto nella scala degli ultimi 800.000 anni. Basta guardare un grafico e ti accorgi che siamo in un puntino assolutamente inedito in tutta la storia precedente. La cosa che mi preoccupa è che adesso che il gioco si fa duro anche le persone che prima potevano essere sensibili al tema ambientale oggi, in un contesto peraltro molto confuso a livello internazionale, sentono il fiato sul collo e temono cambiamenti forti nelle proprie abitudini.
La conseguenza?
Una sorta di riflusso che definirei ‘di protezione’: preferisco togliermi dal tema ambientale per garantirmi quello che ho, e al diavolo il clima e quello che succederà in futuro.
Assistiamo anche a un ritorno dei negazionisti…
Un fenomeno che associo proprio a questa fase fase di blocco nella coscienza green che stiamo vivendo nelle società. Sposare le tesi negazioniste è un modo per dire ‘non è colpa mia’, mentre sappiamo che è sempre più colpa di ciascuno di noi, anche se in misura diversa.
Cosa bisognerebbe fare, e a che livello?
Iniziare a insegnare il clima e l’ambiente nelle scuole va bene, certo. In alcuni Paesi del Nord Europa lo fanno da trent’anni e qualcosa di più hanno raccolto. Ma adesso, in questo momento storico, l’urgenza è ora. Va benissimo dare gli strumenti agli studenti per capire il mondo, ma quand’è che uno di loro sarà presidente del Consiglio? Fra trent’anni? Sarebbe troppo tardi, saremmo già fregati. Dobbiamo riuscire, oggi, a creare quel pacchetto di leggi a livello internazionale perché a questo punto non serve più solo un Paese. Bisogna realizzare quello che le Nazioni Unite predicano da trent’anni. La Convenzione Quadro sul clima è del 1992, a Rio de Janeiro. E non abbiamo fatto niente. Perfino il Papa si è scagliato contro quest’inerzia.
Da dove iniziare?
Per prima cosa bisognerebbe dare potere esecutivo alle Nazioni Unite, perché è già tutto detto e scritto. Non manca nulla. I rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno 3.000 pagine di dati sul clima, su quello che dovremmo fare, sugli scenari futuri. C’è tutto. Se l’ambiente non sarà al centro della politica nel mondo l’umanità subirà i colpi di fenomeni estremi mai visti prima che cominceranno a picchiare duro, soprattutto sulle generazioni più giovani. Sarà dalla metà di questo secolo in poi che vedremo i fenomeni veramente drammatici, sebbene già oggi riusciamo a intravederli, solo che sono più a macchia di leopardo, più diluiti nel tempo. In sostanza, io penso che gli unici provvedimenti che oggi possono funzionare in tempi brevi sono gli atti politici: una buona legge cambia il mondo dalla sera alla mattina. E abbiamo bisogno di provvedimenti che devono veramente essere radicali, però ciò non accade. Anzi: in una situazione anche economicamente complicata noto sempre di più una levata di scudi delle lobby di ogni settore che rallenta tutto. Ma così sarà tutto più difficile. E’ come una malattia: la prevenzione sarebbe stata la cosa migliore e non l’abbiamo fatta. Adesso ci sono già i primi sintomi, quindi bisognerebbe fare una dieta ferrea. Più non lo fai, più perdi tempo e più quando ti deciderai a farlo saranno pesanti le scelte da fare.
Cosa potrebbe accadere in Italia?
Il nostro Paese è espostissimo a tutti i rischi climatici. Tutto il Mediterraneo, infatti, è definito come un hotspot climatico. Ciò vuol dire che rispetto alla media di quello che capita sul pianeta ci sono delle zone dove i cambiamenti climatici sono più amplificati, e noi purtroppo siamo in una di quelle. Abbiamo il delta del Po, i ghiacciai che se ne vanno, gli incendi boschivi, le siccità, le alluvioni, le tempeste. Il mare si solleva già di quasi 5 millimetri l’anno e abbiamo ottomila chilometri di coste. Siamo davvero molto esposti, e vulnerabili.
di Valerio Ceva Grimaldi