I servizi educativi hanno retto la pandemia, ora hanno bisogno di aiuto

I servizi educativi hanno retto la pandemia, ora hanno bisogno di aiuto

In queste settimane di campagna elettorale si discute molto del problema del caro energia, di come il nuovo Governo dovrà affrontare il vertiginoso aumento dei costi che investe privati, imprese e servizi pubblici. Intanto, però, proprio in questi giorni sono in fase di ripartenza i servizi educativi e scolastici. Già indeboliti da due anni di emergenza sanitaria, sono oggi ancor più in difficoltà perché colpiti dall’impennata dei costi di energia e gas.

Lo scoppio della pandemia ha generato un caos generalizzato. Ma i servizi per l’infanzia sono tra quelli che hanno subito il più grande stravolgimento, con la chiusura delle strutture prima, i contagi e le classi bolla dopo. Hanno dovuto affrontare la pandemia reinventandosi e riorganizzandosi, per continuare a garantire un servizio fondamentale per le famiglie italiane. Ora però il Pnrr destinerà una quota di finanziamenti proprio al rilancio di questi servizi, sotto pressione già prima della pandemia a causa di progressivi tagli al personale e alle risorse. Un report di Istat, in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche della Famiglia e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha approfondito il tema dell’impatto della pandemia sui servizi educativi all’infanzia nel nostro Paese.

Le chiusure

L’annuncio del lockdown generalizzato di marzo 2020 ha portato anche le strutture educative e scolastiche verso la chiusura. Una sospensione del servizio protratta fino a settembre 2020. Con l’inizio del nuovo anno accademico alcune strutture non sono riuscite a riaprire. Si tratta del 5% delle scuole per l’infanzia. Anche se può apparire un dato marginale, dobbiamo pensare che rappresenta una copertura di 16.500 posti. Una riduzione che va a pesare su un quadro già caratterizzato dalla carenza del numero di posti rispetto alla media europea. Infatti oggi i servizi educativi per l’infanzia garantiscono l’accesso a meno di 27 bambini su 100. Nel 2002 l’Europa aveva fissato uno standard di 33 posti. Quindi non solo siamo indietro ma anche in ritardo.

I costi per la riorganizzazione del servizio

Le strutture che hanno riaperto, invece, hanno dovuto affrontare una completa riorganizzazione del servizio, dell’attività educativa e didattica e degli spazi e modalità di lavoro, per permettere a bambini ed educatori di vivere la scuola in sicurezza. Questo ha comportato per l’85% delle strutture un considerevole aumento dei costi di gestione e nuovi costi straordinari. Per far fronte a queste difficoltà, lo Stato insieme alle amministrazioni locali (Regioni ed enti comunali e sovracomunali) hanno inviato dei contributi economici straordinari a supporto dei servizi. Di questi, però, solo il 55% ha dichiarato di averli ricevuti. Inoltre, le contribuzioni hanno registrato una disomogeneità tra Nord (60%) e Sud (40%), e tra offerta privata (63%) e pubblica (41%).

I casi di contagio

Con la riapertura, nonostante le precauzioni prese per mettere in sicurezza bambini e operatori, è stato inevitabile il verificarsi di casi di contagio che hanno coinvolto circa la metà delle scuole (49%). Di queste, però, solo il 10% ha sospeso completamente l’attività in presenza di contagi; le altre strutture hanno disposto una sospensione parziale di singole sezioni o “bolle”. Questo ha permesso di garantire la continuità del servizio alle famiglie e ai bambini.

Le criticità principali

Affrontare l’emergenza sanitaria non è stato facile e ha comportato alcune difficoltà. L’aspetto più critico è stato quello economico, il far fronte alle nuove spese, che ha lasciato le strutture insoddisfatte per i sostegni ricevuti. A seguire, le maggiori criticità hanno riguardato il timore del contagio per le famiglie e il personale. In ultimo, è stato complicato riorganizzare il servizio e gli spazi in conformità alle normative in materia di sicurezza sanitaria.

La risposta dei servizi educativi

Qual è stata la risposta dei servizi educativi all’impatto della pandemia? Da un punto di vista organizzativo, si è resa necessaria la costituzione delle classi bolla, che hanno consentito di limitare i contatti e di tenerne traccia. A questo, nella metà dei casi, si è accompagnata la scelta di assumere nuovo personale. Sono cambiate anche molte regole, come quelle di accesso alle scuole: gli orari di ingresso sono diventati rigidi e programmati. Nella maggioranza dei casi (il 68%) sono stati privilegiati i contatti via web con le famiglie. Inoltre, c’è stato bisogno di reinventare l’offerta didattica per limitare al minimo il rischio di contagio: sono state proposte esperienze di educazione digitale, attraverso le video-letture, o di outdoor education. Circa la metà delle strutture (il 46%) ha deciso di comprimere l’offerta, o attraverso la riduzione degli orari di apertura o con la riduzione del numero di bambini accolti. Il 29% ha optato per una rimodulazione delle tariffe di accesso al servizio, riversando sulle famiglie parte dell’aumento dei costi di gestione. Una scelta che ha riguardato soprattutto le strutture private (34%).

Il calo dei bambini iscritti

Un fenomeno rilevante nell’anno accademico 2020/2021 è stato la registrazione di una flessione della domanda dei servizi educativi. Quasi 40 strutture su 100 dichiarano di aver avuto un calo degli iscritti rispetto all’anno precedente. Una dinamica che ha colpito soprattutto l’offerta privata (45%). Altro dato che conferma la tendenza ad una domanda debole da parte delle famiglie è il fatto che il 60% dei servizi educativi non ha bambini iscritti nelle liste d’attesa, solitamente piene.

 

Tirando le somme, il report fa emergere gli aspetti positivi e quelli negativi della reazione all’impatto della pandemia nei servizi educativi. Dato positivo è senz’altro la dimostrazione di resilienza delle strutture che, nonostante le difficoltà riscontrate, hanno tenuto. Estremamente negativo il fatto che le difficoltà abbiano colpito in maniera diseguale un sistema già profondamente caratterizzato dalle disuguaglianze, evidenziando ancora una volta le discrepanze tra Nord e Sud. Ora sarà assolutamente necessario stabilire come gli investimenti previsti dal Pnrr potranno supportare le attività educative e incrementare i servizi. E, con nuovi fondi, appare prioritario investire su formazione e personale. In una parola: sul futuro.

 

di Martina Bortolotti