Accadde oggi... Giornata internazionale per i diritti dei migranti

Giornata per i diritti dei migranti, intervista al Professor Colucci

Come nasce la Giornata internazionale per i diritti dei migranti

Nell’anno 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama il 18 dicembre la Giornata internazionale per i diritti dei migranti. La data scelta richiama la tragedia del 18 dicembre del 1972 quando un camion che avrebbe dovuto trasportare macchine da cucire ha un incidente nel tunnel del Monte Bianco. Nell’impatto 28 persone originarie del Mali perdono la vita. Erano nascosti nel camion da giorni, in viaggio verso la Francia, alla ricerca di un lavoro e migliori condizioni di vita.

Il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite adotta a stretto giro una risoluzione nella quale chiede alla Commissione dei diritti umani di affrontare il problema dei lavoratori migranti. Qualche anno dopo l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), ovvero l’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale, adotta la Convenzione 143 sui lavoratori migranti del 1975.

Nel 1979 l’Assemblea Generale istituisce un gruppo di lavoro con il compito di redigere una Convenzione e, sin dall’inizio, i lavori sono caratterizzati dalla contrapposizione di interessi tra i paesi di emigrazione e quelli di immigrazione. La Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie vede la luce solo il 18 dicembre del 1990 e nel 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama il 18 dicembre la Giornata internazionale per i diritti dei migranti.

La Convenzione entra in vigore nel 2003 grazie alla ratifica del Guatemala che consente di raggiungere il numero minimo (20) di ratifiche previsto. Nonostante l’intensa attività dei paesi interessati alla Convenzione, della società civile e delle Nazioni Unite, oggi la Convenzione conta solo 51 ratifiche di paesi perlopiù originari dei flussi migratori. 

La Convenzione riconosce la specifica situazione di vulnerabilità dei lavoratori migranti e promuove condizioni di lavoro e di vita dignitose e legittime. Fornisce, inoltre, una guida per l’elaborazione di politiche nazionali in materia di migrazione basate sul rispetto dei diritti umani e propone una serie di disposizioni per combattere gli abusi e lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie nel corso del processo migratorio.

L’intervista all’esperto, il Professor Colucci

Da dove nasce la giornata dei migranti, quale il percorso fatto, quale quello ancora da fare per ratificare la Convenzione. Ne abbiamo parlato con Michele Colucci, professore di Storia contemporanea, esperto di migrazioni: il suo ultimo libro è “Storia dell’immigrazione straniera in Italia”.

 Professore, qual è la genesi della Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie?

Il percorso parte dall’idea di costruire un livello sovranazionale e multilaterale di convenzioni legato non solo alla libera circolazione delle persone, che è il punto sul quale sono stati fatti più passi in avanti, soprattutto dai trattati di Roma del 1957, ma creando uno scarto in più all’interno di un orizzonte di protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Un passo voluto fortemente dalle organizzazioni sindacali internazionali, con un lavoro molto lungo iniziato negli anni ‘50, a cui tra l’altro partecipò anche Giuseppe Di Vittorio quando era a capo della Federazione sindacale mondiale. Un primo risultato lo si ha, infatti, con la convenzione dell’Oil del 1975 che, sostanzialmente, sanciva la parità di trattamento tra lavoratori migranti e non. Un punto molto importante che ha permesso poi a molti paesi di sviluppare leggi nazionali di tutela dei lavoratori stranieri. Come è successo in Italia: il nostro paese ratifica nel 1981 la convenzione dell’Oil e nel 1986, anche sulla spinta di questa ratifica, vara con grande ritardo la prima legge sull’immigrazione, la legge Foschi.

E per quanto riguarda nello specifico la convenzione Onu del 18 dicembre 1990?

La convenzione dell’Onu del 1990 ha una storia diversa, anche se si inserisce in questo filone, ed è legata alla tutela delle soggettività migranti dentro uno spettro che non riguarda ‘solo’ le lavoratrici e i lavoratori ma si rivolge a tutte le persone migranti. Una convenzione condivisa soprattutto dai paesi di emigrazione e non considerata invece, per adesso, dai maggiori paesi di immigrazione. L’Italia, pur avendo condiviso la ratifica della convenzione dell’Oil, non la ratifica. Non lo fa perché nel ‘75 si rappresentava ancora come un paese di forte emigrazione, mentre nel 1990 ci troviamo di fronte ad un’altra stagione, con un paese che non si configura più come di emigrazione. Una scelta sbagliata perché, anche se in maniera diversa, dal nostro paese ancora si parte. Non ratificando quindi la convenzione preferisce limitare qualunque strumento che possa portare alla protezione dei diritti dei migranti.

Se questa è la genesi, ha ancora senso ratificare questa convenzione?

Secondo me sì. Ha ancora senso proporre un lavoro internazionale, politico diplomatico, dal basso, per estendere la ratifica di questa convenzione perché molto spesso di fronte alle tragedie dell’immigrazione c’è una stasi, una paralisi degli strumenti di intervento. E dietro questa paralisi si nascondono spesso le ipocrisie dei singoli stati. Per queste ragioni qualunque tentativo di costruire una cornice globale di protezione dei diritti dei migranti è importante ed è da incoraggiare perché rappresenta un’inversione di tendenza rispetto a un’orizzonte sempre più repressivo.

Come si colloca in questo contesto il nostro Paese?

Affrontare il tema dell’immigrazione da un versante esclusivamente emergenziale è un approccio generale da parte della classe dirigente. Non si vuole considerare il fenomeno migratorio come strutturale, escludendo quindi ipotesi di convenzioni che hanno un carattere generale e complessivo e che servono a dare linee guida per interventi di tutele più ampie. Alla base c’è quindi questa scelta miope non solo perché l’Italia è un paese al tempo stesso di immigrazione e di emigrazione ma soprattutto perché nel nostro paese gli immigrati stranieri regolarmente residenti sono più di 5 milioni e circa un milione ha acquisito, tra mille difficoltà, la cittadinanza italiana. Siamo dentro un paese strutturalmente di immigrazione e bisognerebbe fare questo sforzo che però le classi dirigenti, trasversalmente tutte, negli ultimi trent’anni, fanno fatica a fare.