Giornata della Memoria, lo storico: “Rispetto dei diritti umani pilastro dei sistemi democratici”

Giornata della Memoria, lo storico: “Rispetto dei diritti umani pilastro dei sistemi democratici”

In occasione della Giornata della Memoria, che si celebra domani 27 gennaio, Paolo Mattera, storico, consulente per Rai Storia e docente di Storia contemporanea presso l’Università di Roma Tre, spiega perché è importante celebrarla. “Se in passato atti atroci furono accettati da persone comuni, significa che la democrazia è fragile e che va curata con attenzione ogni giorno”.

Perché celebrare la “Giornata della memoria”?

Non è la domanda retorica che prepara un articolo di didascalica spiegazione. Purtroppo è invece la domanda che si fanno sempre più persone, soprattutto studenti, di fronte a una ricorrenza che – come tutte le tappe periodiche – rischia di diventare un rituale meccanico, celebrato distrattamente e svuotato del suo significato principale. A questo rischio si aggiunge quello dell’estremizzazione che mette distanza. Lo sterminio di sei milioni di ebrei – si argomenta – è un evento talmente estremo da non potersi realmente ripetere. Quella persecuzione – si dice – fu opera di uomini talmente fanatici e malvagi, irretiti da un’ideologia così diabolica come il Nazismo, da non avere nulla in comune con i cittadini democratici di oggi. Gli eventuali episodi di discriminazione e intolleranza – si conclude – non possono avere nulla di simile al Nazismo, che viene visto come un “blocco unico”, sorto già fatto in tutte le sue estremizzazioni, e non come il frutto di una progressiva radicalizzazione.

Sia la meccanicità che l’estremizzazione finiscono col banalizzare, depotenziando gli effetti della commemorazione.

Ma le società umane hanno bisogno di coltivare la memoria collettiva del passato, al fine di avere coscienza delle coordinate di azione nel futuro. Immaginiamo che domani mattina uno dei lettori di questo articolo si svegliasse e non ricordasse più nulla di sé stesso: avrebbe perso la sua identità, non saprebbe più chi è e cosa vuole fare, né saprebbe quali sono le persone di cui fidarsi e con cui trascorrere la vita. Il meccanismo vale anche per i gruppi collettivi che quando perdono memoria del proprio passato rischiano di perdere la propria identità, di smarrire i valori di riferimento che fondano la società e di diventare preda di politici spregiudicati, pronti a indicare mete fallaci o illusorie.

Come fare allora a mantenere vivo questo meccanismo?

La commemorazione deve diventare l’occasione per sviluppare una conoscenza del passato più consapevole. Non in modo occasionale e frammentario, bensì nel contesto più ampio e nelle dinamiche di fondo che hanno provocato gli eventi commemorati. Con la tecnologia di oggi viviamo il paradosso di avere a portata di computer tantissime fonti informative, che però possono farci cadere in una grave confusione informativa. Da un lato rischiamo di essere sommersi dalla sovrabbondanza di materiali; dall’altro c’è chi coltiva la passione per il frammento, che trova in rete e legge estraendolo dal contesto. Commemorare per conoscere, insomma. E perciò, celebrare la ricorrenza per ricordare che lo Stato tedesco che arrivò alla persecuzione era un sistema fondato sulla discriminazione degli esseri umani in base a criteri fissi e arbitrari. L’accettazione di questi principi pose le basi per rendere progressivamente “normali” i passaggi successivi che arrivarono all’estremo della “nullificazione” e dell’annientamento.

Tutto ciò significa che quegli orrori si potrebbero ripetere allo stesso modo? Ovviamente no, per fortuna.

Significa ricordare quali sono i valori e principi di rispetto dei diritti umani che sono alla base della nostra democrazia e vanno tutelati con attenzione. Significa comprendere che se in passato uno Stato si è fondato sulla discriminazione e tante persone comuni lo hanno accettato, allora il nostro sistema democratico è una realtà fragile, che va curata con attenzione e dedizione, come un fiore molto bello, che però richiede di essere annaffiato con premura, senza mai dare per scontato che i suoi petali colorati sboccino automaticamente.

È un discorso sulla memoria e l’identità che ha particolare valore in Italia. Qui dopo la Seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo si è sviluppata un’arbitraria auto-assoluzione nazionale, alimentata dal mito del “tedesco cattivo” al fine di mettere nell’oblio la coscienza del fascismo. Il prodotto finale è stato il mito degli “Italiani brava gente”, uno stereotipo nel quale ci siamo celebrati come fascisti senza convinzione e vittime della crudeltà altrui. E invece, se è vero che molti italiani sono state vittime delle persecuzioni, molti altri sono stati carnefici, direttamente e indirettamente.

Perché commemorare, insomma?

Per omaggio alle vittime, certo. E soprattutto per costruire una chiara identità del presente passando per una conoscenza consapevole del passato. Per ricordare che se in passato uomini “normali” hanno perseguitato e ucciso, allora il rispetto dei diritti umani è la base della forza e della dignità dei nostri sistemi democratici.  

 

di Paolo Mattera