La lettera dell'educatrice

Giorgia (educatrice): “Tante difficoltà, ma orgogliosa di quello che faccio”

Giorgia, 28enne della provincia di Terni, da sette anni svolge l’attività di educatrice in una scuola pubblica superiore di secondo grado a Orte. Un ruolo quasi invisibile, ma davvero indispensabile per le famiglie che hanno a che fare con la disabilità. Ecco la lettera che ha inviato a Spazio Pubblico.

Ho iniziato imparando la Lingua Italiana dei Segni (LIS) e per i primi due anni ho collaborato con un ragazzo affetto da sordità. Ora si può dire che sono un’educatrice classica e collaboro con ragazzi e ragazze con varie problematiche che raramente possono stare in classe. Con loro facciamo attività didattiche diverse dall’insegnamento tradizionale. Alessandro Manzoni, per fare un esempio, cerchiamo di spiegarlo attraverso le immagini, facendoli disegnare o in tanti altri modi. Ognuno ha i suoi tempi e le sue esigenze: quello che è semplice per qualcuno, potrebbe non esserlo per qualcun altro

Il mio è un ruolo complementare a quello dell’insegnante di sostegno e dei docenti. Mentre questi due ruoli sono rivolti principalmente a sostenere lo studente con disabilità nell’apprendimento didattico, l’educatrice ascolta e accoglie i suoi bisogni in tutti i momenti della giornata scolastica. L’insegnante di sostegno, come i docenti didattici, può coprire un massimo di 18 ore. Noi invece copriamo l’intero orario e siamo un punto di riferimento per i ragazzi e le ragazze con disabilità da quando entrano a quando escono da scuola.

Purtroppo, la nostra è una figura poco tutelata dal punto di vista contrattuale. È vero che lavoro in una scuola pubblica, ma lo faccio attraverso una cooperativa. Inoltre, il contratto si rinnova di anno in anno e il futuro è sempre legato alla prosecuzione dell’appalto che la cooperativa ha con la scuola.

Ad ogni modo sono orgogliosa di fare quello che faccio. Uno degli obiettivi delle educatrici e delle insegnanti di sostegno è quello di favorire l’integrazione dei ragazzi e delle ragazze che seguono. A volte chiediamo agli studenti di aiutarsi a vicenda, in modo che si confrontino con la disabilità e imparino come comportarsi in determinate situazioni. L’adolescenza è una fase complessa e l’essere inclusivi e aperti verso il prossimo non è affatto scontato. Solo una volta ho assistito ad un brutto episodio, ma in generale vedo sempre i ragazzi ridere e scherzare tra loro. La disabilità non è considerata una discriminante. Spesso capita anche che qualche studente venga a passare del tempo con noi in laboratorio, con quelli che non possono stare in classe.  

Durante l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie, una scena mi ha commosso particolarmente. Io ero in classe con uno dei ragazzi che seguo, eravamo soli, un po’ in disparte. Una ragazza si è alzata, è venuta da noi, ha preso lui per mano e lo ha accompagnato al banco vicino a lei. Si sono messi a cantare canzoni di Natale insieme: un gesto semplice, ma di una forza incredibile. È in momenti come questi che, al di là di tutte le difficoltà, realizzo di fare un lavoro bellissimo”.