Il 23 settembre del 1985, a Napoli, un giovane giornalista veniva brutalmente assassinato dalla camorra. Era Giancarlo Siani, redattore 26enne a “Il Mattino”, giornale nel quale si occupava principalmente di cronaca locale a Torre Annunziata, una zona all’epoca soffocata dalla presenza della camorra. Le sue inchieste, rigorose e ricche di particolari, mettevano in luce le dinamiche tra la politica locale e la criminalità organizzata.
La passione di Siani fu anche la sua condanna. Dietro la sua uccisione, infatti, c’era proprio una delle sue inchieste nella quale raccontava del tradimento del clan Nuvoletta, una delle famiglie camorristiche più potenti dell’epoca, e del loro legame con la mafia siciliana. Il giovane giornalista aveva svelato verità che avrebbero incrinato equilibri delicati. Verità troppo scomode che gli costarono la vita: Giancarlo Siani fu ucciso sotto casa sua con dieci colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata. Un omicidio che aveva l’obiettivo di spegnere una voce fastidiosa e di incutere timore a chiunque volesse seguire le sue orme.
Per anni, la sua morte rimase avvolta nel silenzio, rotto solo dalle richieste di giustizia della sua famiglia e di alcuni colleghi. Fu solo nel 1997, dodici anni dopo l’omicidio, che la verità processuale emerse: i mandanti dell’omicidio furono i fratelli Nuvoletta, con l’esecuzione affidata a una rete di killer della camorra. Ma la storia di quel delitto era già scritta negli articoli di Siani, nelle sue coraggiose denunce, nelle sue domande mai fatte solo per opportunismo, ma per il bisogno e per amore della verità.