I rider, un mondo complesso, duro, a tratti spregevole. Una categoria di lavoratori spesso dimenticata, non considerata, come non sono considerate le condizioni con le quali lavorano. Tra la corsa (contro il tempo) da un luogo all’altro, senza pause e nel minor tempo possibile, sotto la pioggia o con il caldo infernale, zigzagando nel traffico in un costante e ansioso countdown che li renderà agli occhi del datore di lavoro dei bravi lavoratori o degli inadatti.
“E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, l’ultimo film di Pif (Pierfrancesco Diliberto), racconta la storia di Arturo, un quasi cinquantenne benestante che scopre un algoritmo che potrebbe facilitare l’azienda in cui lavora. Non prevede, però, che sarà proprio la sua scoperta a renderlo un elemento non indispensabile e a sostituirlo. Arturo nel giro di poco perde lavoro, amici e fidanzata e finisce a fare il rider proprio per una multinazionale che si occupa di tecnologia.
Enrico, un nostro lettore e sindacalista, ha voluto inviarci la sua recensione del film di Pif. E noi, con molto piacere, la pubblichiamo.
Il lavoro e lo studio danno una tregua, la bambina dorme, ed allora è possibile accendere la TV, passare in rassegna le piattaforme attive, e scegliere un film. “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”. Il film è godevole, ben congegnato, gli attori sono all’altezza, e già solo per questo ne vale la pena. Ma c’è di più. Leggiucchiando le recensioni sul web, un aggettivo che ritorna spesso è “distopico”. Ebbene, non sono d’accordo. Per alcuni aspetti il film inventa, ed in questo senso è fantasy. Ma molte rappresentazioni e descrizioni del film sono realtà. Pura, dura, terribile realtà. Sui rider, il loro non avere assicurazione né diritti, tanto si è scritto e loro stessi (non troppi), insieme ad altri (pochi), stanno lottando. Ma sui rischi dittatoriali, antidemocratici ed antropologicamente terrificanti di GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) già qualche anno fa Shoshana Zuboff ha scritto un libro fondamentale, “Il capitalismo della sorveglianza”, e subito dopo un gruppo di esperti riuniti nel “Center for Human Technology” ha realizzato, sempre sul tema, il documentario divulgativo “The social dilemma”. Il film, anche su questi aspetti, non è distopico. Alcune cose ci sono già, sono già tra noi. E “noi come stronzi rimanemmo a guardare”.
FP CGIL, insieme a EPSU (European Public Services Unione) e a PSI (Public Services international), proprio in questi mesi sta portando avanti un progetto per insegnare ai propri dirigenti sindacali come fronteggiare e fermare queste nuove tendenze di sfruttamento selvaggio guidate dall’algoritmo, che sono in ogni aspetto della nostra attività quotidiana. Un solo esempio: ci sono già centri per l’impiego in Europa e negli Stati Uniti che effettuano la prima “intervista”, mediante una profilazione ed un video che viene gestito da un algoritmo. Insomma, se sei nera ed hai un tic probabilmente quel colloquio di lavoro andrà male. Mentre ci fanno bisticciare tra no vax e pro vax (chissà perché a Cuba i no vax non esistono), il mondo va nella direzione del bel film di PIF. La bellezza, e la solitudine, del sindacalista sta tutta qua. La bellezza è di sapere di dedicare la propria vita al bene collettivo. La solitudine è quella di chi sa che sta lottando contro un nemico enorme. Se si è molti, uniti, in modo fraterno, quella solitudine scompare. Facciamo una cosa: guardate il film, e poi iscrivetevi al sindacato. Quello che volete, non è importante. Però fatelo.