Come contrastare il dumping contrattuale, lettera della Fp Cgil

Come contrastare il dumping contrattuale, lettera della Fp Cgil

Michele Vannini, segretario nazionale della Funzione Pubblica Cgil Sanità Pubblica, ha scritto a Spazio Pubblico del fenomeno del dumping contrattuale e di cosa dovrebbe essere messo in campo per contrastarlo. Ecco la sua lettera.

In questo periodo, anche a seguito di diverse manifestazioni sindacali, ha finalmente avuto una certa rilevanza mediatica il tema del dumping contrattuale, in particolare per quanto riguarda il settore sociosanitario e assistenziale. Ma di cosa si parla realmente quando si parla di dumping? Il dumping altro non è che la concorrenza – più o meno leale – che le associazioni dei datori di lavoro mettono in campo attraverso la sottoscrizione di diversi contratti nazionali di lavoro che intervengono sugli stessi ambiti di attività. La leva attraverso la quale si esercita questa concorrenza è prevalentemente (in qualche caso esclusivamente) il costo del lavoro inteso in senso ampio, prendendo cioè a riferimento tutte le voci che contribuiscono a formarlo (dal costo di un’ora di lavoro al numero dei giorni di ferie, dal trattamento della malattia ai permessi eventualmente presenti).

La conseguenza è che a parità di lavoro svolto ci sono trattamenti anche significativamente diversi fra lavoratori. Può capitare così di avere un infermiere che lavora in una residenza per anziani che percepisce un terzo di salario in meno di un suo collega che lavora nel pubblico, che ogni volta che si ammala non viene pagato per i primi tre giorni di certificato medico, che non ha diritto a maggiorazioni orarie se lavora di domenica o in un festivo. Oppure può capitare di entrare dentro un asilo nido in cui opera un’educatrice di una cooperativa che, oltre a percepire uno stipendio considerevolmente più basso della sua collega comunale che lavora nell’altro nido dello stesso quartiere, non ha diritto a vedere considerato come tempo di lavoro quello che spende per preparare i materiali necessari all’attività didattica o che a fine giugno, quando il nido chiude, cessa di essere retribuita.

L’esercizio della concorrenza non attraverso la qualità e l’innovazione ma per mezzo della riduzione dei diritti ha nel tempo generato una spirale perversa di competizione al ribasso che ha portato i datori di lavoro a ricercare (o creare) contratti di lavoro sempre più poveri e lesivi della dignità di chi lavora, quasi sempre sottoscritti da organizzazioni sindacali per nulla rappresentative, chiamiamole di comodo. Sono quelli che definiamo “contratti pirata”, che noi, come organizzazioni realmente e maggiormente rappresentative, cerchiamo quotidianamente di contrastare.

Attorno a questo problema ruotano due questioni molto importanti: l’assenza di una legge sulla rappresentanza e il salario minimo legale, di cui in questo periodo si discute molto.

La prima sarebbe una necessità assoluta per contrastare il dumping: sapere con certezza chi rappresenta taglierebbe automaticamente fuori tutte le organizzazioni sindacali di comodo che si autolegittimano esclusivamente firmando contratti nazionali al ribasso. Ma servirebbe anche, allo stesso modo, per sapere quali associazioni di datori di lavoro hanno una base associativa tale da giustificare un contratto nazionale dedicato, posto che nel nostro Paese ci sono più di 900 contratti nazionali depositati al Cnel, molti dei quali hanno una platea di applicazione inferiore a quella di molti contratti aziendali.

Il secondo strumento, quello del salario minimo legale, dovrebbe fissare un valore orario o mensile minimo utile a contrastare il lavoro povero. In Spagna, ad esempio, il Governo Sanchez lo ha recentemente alzato di nuovo portandolo a 1080€ mensili per quattordici mensilità. L’Italia è uno dei sei Paesi europei che non hanno una legge sul salario minimo. Di recente la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato, intervenendo alla Camera, di essere contraria alla sua istituzione perché, a suo dire, rischierebbe di peggiorare le condizioni dei lavoratori coperti dalla contrattazione nazionale (dimenticandosi dei tantissimi a cui non viene applicato alcun contratto nazionale). A nostro avviso Meloni sbaglia. La soluzione migliore, come ha di recente affermato Maurizio Landini, è una legge sulla rappresentanza che elimini i contratti pirata, estendendo erga omnes la validità dei contratti nazionali sottoscritti dai sindacati certificati come più rappresentativi, fissando a quel punto un salario minimo legale e lasciando alla contrattazione il compito di alzarlo, garantendo inoltre tutti gli altri diritti (malattia, ferie, permessi, solo per citarne alcuni) che rendono un rapporto di lavoro degno e non uno strumento di sfruttamento.

 

Michele Vannini
Segretario nazionale Fp Cgil Sanità pubblica