Donne “angeli del focolare”, più istruite ma meno retribuite

Più istruite ma meno retribuite dei colleghi uomini a parità di mansioni, bersaglio di una pandemia che ha reso ancor più inconciliabili la possibilità di carriera e la cura della casa e della famiglia (di cui ancora oggi le donne sono le protagoniste indiscusse), costringendole alle dimissioni. Questo è il triste quadro dell’occupazione femminile in Italia. Una fotografia che può essere invertita con l’aiuto delle risorse che il Pnrr prevede per ridurre il gender gap.

L’occupazione femminile in Italia e nel mondo

Nel nostro Paese meno della metà delle donne ha un lavoro. Infatti, se il tasso di occupazione maschile è al 72,6%, di contro quello femminile è al 49%. Inoltre, di queste, la metà lavora part-time (il 49,8%). Sono numeri allarmanti.

Ma – come si dice – tutto il mondo è paese! Infatti, in ogni paese del mondo la donna guadagna meno dell’uomo, a parità di mansioni, di profilo professionale e di livello. Secondo le stime Eurostat, in Italia la differenza salariale tra uomo e donna si aggira attorno al 12%.

Tra 156 paesi del mondo, l’Italia è al 63° posto per gender equality. Infatti, il gender overall earning gap italiano è del 43,7%. Stiamo parlando di 5 punti percentuali in più della media europea che si aggira sui 39,6%, già vergognosamente alta.

Questo avviene nonostante le donne siano mediamente più istruite dei colleghi uomini. Infatti, le donne con il titolo di studi di scuola superiore sono il 65,1%, contro il 60,5% degli uomini. Per quanto riguarda la laurea, invece, è il 23% delle donne a possederne almeno una, contro il 17,2% degli uomini. Ma non basta! È proprio all’aumentare del livello di istruzione che il gap tra uomini e donne cresce. Infatti, se tra i diplomati la differenza di trattamento tra uomo e donna è solo del 5,4%, guardando ai master di II livello il gap impenna fino al 46,7%.

L’angelo del focolare, un problema culturale

Ma la vera domanda è: perché? Tanto per cominciare, la ragione è culturale. I Paesi di tutto il mondo strizzano ancora l’occhio allo stereotipo della donna angelo del focolare che si occupa della casa e della famiglia e dell’uomo lavoratore che porta a casa i soldi.

Di fatto, l’evento della maternità, che molte donne si trovano ad affrontare, mette il freno a mano alla loro carriera, portandole a dover scegliere di lasciare il lavoro, o a ripiegare su un part-time, o ancora a prediligere lavori più modesti che gli permettano di conciliare meglio la vita privata e il lavoro.

A.A.A. Cercasi asili nido!

Ma come mai la conciliazione vita-lavoro è così difficile? Non solo perché nel nucleo familiare è spesso la donna a farsi interamente carico delle cure domestiche e familiari, ma anche perché i servizi educativi scarseggiano. Infatti, ci sono pochi asili nido (pubblici e privati) e solo il 26,9% dei bambini riesce ad accedervi, costringendo inevitabilmente la famiglia a sostituirsi ad essi. Quasi sempre la donna.

Non è un caso che nel 2020, in piena pandemia, ben 42mila genitori con figli fino a 3 anni hanno dato le dimissioni, di questi il 77% erano donne. E nel 2021, a fronte di circa 400mila nuovi occupati, il 70% erano uomini.

Cosa si può fare?

Qualcosa è già stato fatto, ma non è sufficiente.

Per cominciare è stata da poco approvata la Legge sulla parità salariale, che si pone l’obiettivo di migliorare la trasparenza retributiva e obbliga le imprese con più di 50 dipendenti a redigere una relazione sulla parità retributiva. Su base volontaria l’invito è inoltrato anche alle aziende con un numero inferiore di dipendenti. Inoltre, alle aziende più virtuose sarà consegnata una “certificazione delle pari opportunità” (i cui requisiti sono però demandati a futuri decreti) per andare oltre la trasparenza retributiva e valutare altri aspetti come, per esempio, i criteri di selezione nelle assunzioni, la formazione e le progressioni di carriera.

Altro strumento è il Congedo di paternità, del tutto insufficiente. Il congedo (che per altro esclude i dipendenti pubblici) viene semplicemente ampliato da sette a dieci giorni, non agevolando in alcun modo un percorso di affiancamento alle donne nel lavoro di cura.

Ora, però, abbiamo uno strumento potenzialmente potentissimo. Per assottigliare l’enorme gap tra la condizione lavorativa maschile e quella femminile, infatti, il Pnrr (Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa) ha previsto ben 38,5 miliardi da investire sul lavoro e l’imprenditorialità femminile da una parte, e su asili nido e scuole dell’infanzia dall’altra.

Mai come adesso il nostro futuro dipenderà da come indirizzeremo le nostre risorse. Non possiamo permetterci una crescita senza inclusione. Abbiamo bisogno di una strutturale crescita di occupazione, che riduca le enormi disuguaglianze non solo di genere, ma anche generazionali e territoriali che ancora caratterizzano il nostro mercato del lavoro.

Ma perché avvenga un avanzamento reale e non di facciata il nostro Paese necessita di investimenti in termini culturali e formativi, che partano dalle scuole e si diffondano nei posti di lavoro. È indispensabile sensibilizzare uomini e donne affinché la condivisione del ruolo di cura non sia un’imposizione ma una visione comune, di uomini e donne con lo stesso desiderio di partecipazione all’educazione e alla crescita dei figli.

 

di Martina Bortolotti