Il direttore del Dipartimento di salute mentale Ausl Parma: “Disagio sociale in forte aumento, siamo sotto pressione. Serve una risposta di comunità”

Il direttore del Dipartimento di salute mentale Ausl Parma: “Disagio sociale in forte aumento, siamo sotto pressione. Serve una risposta di comunità”

Pietro Pellegrini è il Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl di Parma ed è uno dei 91 firmatari della lettera-appello che chiede al Governo di investire nella salute mentale, a fronte di un grande aumento del disagio sociale. Ci ha raccontato le condizioni in cui versa il sistema, quali sono le criticità e le ragioni che hanno spinto lui e i colleghi a rivolgersi alle istituzioni.

Perché nasce questo appello?

Il primo tema è quello delle risorse: il finanziamento per la salute mentale in Italia raggiunge il 3% della spesa sanitaria. Da anni si discute di portarlo al 5% ma ancora non se ne è fatto nulla. Questo è un elemento che preoccupa molto. E ciò si traduce in una difficoltà nel fornire una risposta ai crescenti bisogni della popolazione. Inoltre, ci sono delle notevoli variazioni a livello regionale, soprattutto in sanità, in termini di investimenti ma anche di servizi. E l’autonomia differenziata rischia di accentuarle. Un altro capitolo molto importante è che vorremmo che i valori, i princìpi alla base della riforma sanitaria possano diventare patrimonio comune, condiviso a livello nazionale senza essere costantemente messi in discussione. Queste riforme sono nate nell’ambito di un percorso di affermazione di diritti importante per il nostro Paese, penso per esempio al diritto all’aborto.  Non vorremmo tornare a mettere in discussione questi princìpi e questi valori, come ha fatto questo governo che, ancor prima del voto, ha posto delle criticità sulla 194 (la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza).

Quanto investe il resto d’Europa?

Laddove l’Italia investe il 3%, in altri Paesi europei si arriva ad investire anche tre volte tanto: 8, 10, anche 12%.

Con la pandemia è aumentata la richiesta di sostegno psicologico da parte delle persone?

La pandemia ha creato una situazione di stress prima acuto e poi cronico. Abbiamo avuto un incremento della domanda. Alcuni disturbi sono fortemente aumentati, come quelli del comportamento alimentare e soprattutto tra gli adolescenti. La condizione sociale è diventata più difficile: sono aumentate le povertà, le difficoltà delle famiglie, la solitudine e i servizi sono sotto pressione. Occuparsi di salute mentale vuol dire avere attenzione alla vita concreta delle persone: non solo alla patologia, ma alle relazioni, al lavoro, al reddito, a tutti i diritti di cittadinanza. Le condizioni di marginalità, di povertà, di abbandono scolastico, i traumi infantili sono tutti fattori che espongono gravemente le persone al rischio di sviluppare disturbi mentali. Se i diritti delle persone non vengono sufficientemente tutelati, questo ha un impatto molto forte sulla salute mentale e sul benessere della comunità.

Cosa ne pensa del bonus psicologo? È una “toppa” o una soluzione? 

Il bonus psicologo può essere la toppa di un periodo. Dobbiamo però essere consapevoli che il sistema pubblico, anche nelle migliori condizioni, non raggiunge l’intera popolazione delle persone che hanno dei disturbi. Allora bisogna capire come articolare meglio il sistema. La salute mentale è una componente essenziale della salute. Si deve fare uno sforzo per cercare di creare un sistema territoriale che dia risposte, come le case della comunità o le scuole. Il bonus psicologo tenta di portare la psicoterapia come unica prestazione alla persona ma non la collega a tutte le altre componenti della salute mentale. Dà una risposta parziale, pensando che il soggetto possa con la sola psicoterapia risolvere il problema. Talvolta è così, ma per le situazioni più impegnative la salute deve fare riferimento a un modello bio-psico-sociale, culturale, ambientale.

Dopo il lancio dell’appello è arrivato qualche segnale? Avete avuto riscontri?

Non dalla politica, ma l’appello ha determinato l’attenzione dell’opinione pubblica, l’appoggio della Cgil, e ha sviluppato un dibattito in diverse sedi. Questo vuol dire che è una tematica che andava posta. È importante cominciare a parlare di salute mentale anche da altri punti di vista. L’obiettivo è che ogni comunità sia in grado di affrontare i propri problemi. Tutti possono fare qualcosa per la salute mentale dell’altro. C’è un grande bisogno di riscoprire il valore della partecipazione e della comunità. Io credo che noi abbiamo un grande patrimonio che mette a disposizione dei più fragili la possibilità di avere risposte. L’appello le vuol migliorare, vuole cercare di dare prospettive a delle persone che si trovano in condizione di grande sofferenza, la loro e quella delle loro famiglie.

 

di Martina Bortolotti

 

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