Come promesso, Spazio Pubblico continua il suo viaggio nella Legge sull’Autonomia Differenziata. Lo facciamo per capire meglio qualcosa ci tocca molto da vicino, che cambierà la nostra quotidianità. Una riforma che ha tante sfaccettature e che interessa diversi settori della nostra società. Una riforma, però, sulla quale saremo chiamati a votare nella prossima primavera e che per questo abbiamo il dovere di approfondire. Oggi continuiamo il nostro viaggio con la dott.ssa Maria D’Ambrosio, sociologa, professoressa di Pedagogia presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Presidente dell’associazione “f²Lab aps”.
Quali sono secondo lei i punti critici ed i punti positivi della legge sull’autonomia differenziata?
A me sembra che la Legge sull’Autonomia differenziata risponda solo ad una logica propagandistica. Al contrario di quel che si dice, questa Riforma non segue il sacro principio legislativo della sussidiarietà che sostanzia la riforma del titolo V della Costituzione. Questa riforma non risponde alla necessità di maggiore prossimità delle Istituzioni alla vita civile e sociale nel nostro paese.
Le criticità che emergono ora con la Legge sull’autonomia differenziata e con l’iniziativa popolare che sta prospettando un referendum abrogativo, sono da leggere come sollecitazione alle Istituzioni e al dibattito parlamentare ad entrare nel merito delle garanzie dei diritti civili e sociali. Le criticità di questa nuova Legge stanno nel fatto che non affronta e non traccia un percorso di superamento dei divari territoriali e delle ingiustizie sociali. Un punto focale sono i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) da garantire a tutto il territorio nazionale: non viene fornita nessuna indicazione rispetto al superamento delle disuguaglianze, nessuna risposta al principio di equità.
Forse di positivo c’è che con l’approvazione della Legge sull’autonomia differenziata torna la necessità di spingere in direzione dei diritti di cittadinanza e quindi a rivedere la geografia istituzionale e il decentramento disegnato già dalla riforma del titolo V della Costituzione.
Quanto e in che modo potrebbe incidere l’autonomia differenziata sul senso di appartenenza ad una comunità nazionale?
Credo sia importante in questo momento spostare l’attenzione dalla Legge sull’Autonomia differenziata alla più generale, preoccupante e irrisolta iniquità di fondo che l’alimenta. C’è una diffusa e crescente disaffezione alle Istituzioni e una fragilità del sistema dei diritti che pure esse rappresentano e dovrebbero tutelare nell’interesse comune. Penso che, se si indebolisce il principio stesso del bene comune, ciascuno si sente distante dalla comunità e legittimato a cercare risposte fuori dalla sfera politica e istituzionale. Prevale anche nelle Istituzioni l’esercizio burocratico di un ordine sovradeterminato, incapace di identificarsi con il senso normativo e quindi con la tutela dei principi di cittadinanza e dei diritti civili. Parlerei di analfabetismo istituzionale che alimenta comportamenti e scelte antipolitiche. Mentre, mai come in questo momento, sento che avremmo bisogno di risposte politiche, di partecipazione, di confronto, di apertura e approccio critico alle stesse Istituzioni in maniera da ridare linfa vitale e sociale alla vita delle persone e delle comunità. Parliamo spesso di crisi delle democrazie: ci siamo pienamente immersi e proprio per questo credo aumenti il senso di disagio e di isolamento. Sentirsi comunità passa per la solidarietà e quindi anche per una fiscalità intesa come prima e grande forma di partecipazione civica.
Come ha detto in precedenza, la riforma del Titolo V già disegnava un decentramento istituzionale. Il concetto di autonomia non è quindi così assurdo, ma allora come dovrebbe essere declinato?
Mi sembra che la Legge sull’Autonomia differenziata stia facendo emergere e leggere un diffuso sentimento di sfiducia contro il quale proprio gli Enti e le Comunità locali devono poter fare la differenza in termini di risposte politiche e non retoriche o propagandistiche. Bisogna risvegliare l’attenzione verso la sfera pubblica. La Sanità, la Scuola e l’Educazione, la Ricerca, la Mobilità, sono esempi di sfere pubbliche che ci toccano quotidianamente, eppure entrano ancora troppo poco nel dibattito riferito a questa Legge così come a tutta l’organizzazione dello Stato. Una sana Autonomia locale, e quindi l’organizzazione territoriale della politica e delle Istituzioni, è necessaria ed auspicabile ma ha bisogno di persone adeguate e adeguatamente formate ad esercitare ruoli e funzioni pubbliche secondo una logica di bene e interesse pubblico.
Fino a qualche decennio fa avremmo chiesto alla Scuola di rispondere a questo obiettivo strategico e di formare ad uno spirito civico e critico come humus della democrazia e del suo costante rinnovamento. Oggi tutt’al più per l’ennesima riforma della Scuola si genera competizione tra una disciplina e l’altra e si fa a gara per decidere se introdurre l’educazione civica o l’educazione musicale, il teatro o le lingue straniere, la filosofia o l’informatica. Mentre qualcuno sussurra che tanto non serve proprio più a nulla, visto che a tutto ci pensa l’Intelligenza Artificiale… Mi sembra così tutto privo di senso. Come quando ti servono un pomodoro e non sai da dove arriva e a quale costo umano risponde per essere arrivato fin sulla tua tavola, sacrificando o dimenticando chissà quali diritti che in questa o quella parte del pianeta o di uno stesso paese possono valere sono in parte e solo per qualcuno. Il concetto di autonomia deve potersi declinare con i diritti civili e sociali e richiamare gli Enti Locali alle loro responsabilità perchè rispondano ai bisogni delle comunità e dei territori che rappresentano, con servizi e politiche che nel quadro dei diritti inviolabili sappiano rispondere proprio ai principi di equità e di giustizia sociale.
Prima di tutto, quindi, bisognerebbe rafforzare il senso di bene comune piuttosto che spaccare il Paese…
Anche in questo specifico periodo estivo, in cui l’attenzione è a conquistarsi letteralmente un posto al sole, e il posto per un ombrellone, le polemiche sono sui costi di questo o quel Lido ma a pochi viene in mente di garantire e di esercitare il diritto libero e gratuito alla spiaggia e quindi alla costa e al mare. Uno di quei casi evidenti in cui si dovrebbe avvertire la necessità di una autonomia non differenziata e quindi anche della capacità di far valere dei diritti generali in ogni angolo particolare e specifico del Paese. Un altro esempio è dato dai tanti cantieri edili aperti in giro per l’Italia per future scuole dell’infanzia o per ospedali di comunità o per altre infrastrutture di grande interesse per le comunità.
Potrebbero essere un esempio tangibile di quanto la programmazione e la progettazione, in particolare quelle mosse e finanziate dal PNRR, possano rispondere ad esigenze locali nell’interesse di chi abita quei territori. Eppure l’attenzione è solo alla spesa. L’efficienza si misura in termini di velocità e quantità ad accaparrarsi e spendere le risorse disponibili. A pochi viene in mente di garantire e misurare l’impatto della spesa pubblica in termini di benessere e innovazione sociale da produrre. Nessuna delle Istituzioni coinvolte pare tutelare e coniugare il rispetto delle regole con l’efficacia dei risultati da raggiungere. Per questo mi pare che la Legge sull’Autonomia differenziata chieda a tutti gli Enti locali e chi li rappresenta di risvegliarsi dal torpore e contrastare la deriva individualista e finanziaria cui si assiste cinicamente, come ad accettare che sia tutto solo un ‘affare’ per qualcuno e non un investimento per le comunità territoriali di riferimento.
In un mondo sempre più globale, in una realtà politica nella quale molte direttive le detta l’Unione Europea, quali potrebbero essere le conseguenze della divisione del territorio in tante parti?
L’Unione Europea risponde ad un accordo tra Stati nazionali e ad una logica di comunità, di condivisione, di compartecipazione che ne costituisce il principio fondante e lo spirito con cui governarla e farsi governare. Unire differenze e specificità non significa annullarne la varietà e la pluralità. I diritti dei cittadini costituiscono il fondamento e il senso stesso dell’Unione Europea e chiedono a ciascuno di tutelarli in quanto valore culturale che ha bisogno di continua ‘manutenzione’. Come ogni patrimonio culturale, anche i diritti chiedono a ciascuno di sentirsene parte e di prendersene cura. Per questo va nutrita la libertà con la solidarietà e la fraternità per una cittadinanza più responsabile. Nutrire la libertà con la solidarietà e la fraternità significa trasformare le città, le piazze, gli spazi pubblici in piccole comunità di pratiche dove esercitare i propri diritti e riconoscere quelli altrui.
Sto dicendo che è importante occuparsi del territorio. Delle specificità. Ma non in senso divisivo né competitivo. Prendersi cura del territorio e delle sue singole parti vuole dire formare alla cittadinanza globale, preparare e prepararsi ad un orizzonte più esteso di quello offerto dal proprio campanile. In questo modo ciascuna realtà territoriale non si sentirà separata dal resto – del Paese, dell’Unione, del Pianeta o del cosmo – e più pronta a riconoscere i diritti come bene comune. Se ripensiamo le Scuole e le piazze, le Fabbriche e i Musei, ma anche i mercati insieme alle botteghe, gli ambulatori e le sedi amministrative, le stazioni e i parchi, come spazi sociali, avremo un’attenzione maggiore nell’abitare e vivere quei luoghi come spazi dove ci si forma alla cittadinanza. Penso che la deriva globale e globalizzante vada governata con Istituzioni nazionali fortemente connesse a quelle territoriali e in grado di recepire le direttive sovranazionali come quelle europee e di trasformarle in azioni e servizi reali, in grado cioè di rispondere concretamente a principi che sono da ritenersi condivisi e universali.
Come giudica il grande numero delle firme raccolte in così poco tempo, anche nel nord Italia? Si dice sempre il nostro sia un Paese molto diviso, forse non è proprio così.
Mi sembra un buon segnale, simbolicamente e politicamente positivo, ma credo non basti. La meccanica della partecipazione va sostituita con una forma più organica di attivismo civico che si alimenta e si esercita nel quotidiano, molto oltre il si o il no ad una Legge. Le differenze e la frammentazione del nostro Paese sono anche la sua ricchezza e la sua peculiarità. I diritti e la politica sono un collante che deve essere in grado di tenere insieme la varietà e la lunga storia di ogni territorio. Mi piace pensare che ci stiamo preparando ad una svolta. Ma ci vorrà tempo. Non basterà certo questa mobilitazione referendaria. Ma può significare l’inizio di un lungo processo necessario a ricostruire un senso di comunità che ha bisogno di alti e altri profili istituzionali da cui attendersi altre Riforme in grado di sostenere un nuovo patto sociale in grado di far prevalere il senso di unità e il valore della comune appartenenza civica.