Dacia Maraini: “Cambiare il patriarcato è una metamorfosi di lunga durata” 

Dacia Maraini: “Cambiare il patriarcato è una metamorfosi di lunga durata” 

Dalle domande inappropriate sulla vita privata nei colloqui di lavoro, passando per le retribuzioni inferiori e i pochi ruoli dirigenziali affidatigli, fino alla scelta di essere madri oppure no. Le donne sono ancora oggi soggette a discriminazioni nella vita privata come in quella pubblica. Ma quanto è cambiato rispetto al passato? E come scardinare dei retaggi culturali ancora troppo duri a morire? Ne abbiamo parlato con Dacia Maraini, grande scrittrice, poetessa e saggista italiana.

Donne e società: a che punto siamo in termini di diritti e di pari opportunità?

Se pensiamo al mondo come a un’entità globalizzata, siamo molto indietro, essendoci Paesi che non riconoscono nemmeno la libertà di studio alle donne. Se invece consideriamo i Paesi più aggiornati e moderni, troviamo che le donne, in seguito alle tante battaglie per i diritti civili, hanno ottenuto molto. Il femminismo è stato importantissimo per il cambiamento della sensibilità comune e per molte leggi che sono cambiate in meglio. Si è conquistato l’accesso a tutte le professioni che prima escludevano le donne. Contemporaneamente sono cambiate leggi che c’erano da secoli: il diritto di famiglia, la legge sul delitto d’onore, sul salario, sulla violenza in famiglia e tante leggi discriminanti. Ma bisogna tenere conto che un’abitudine culturale come quella legata al patriarcato non si cambia in pochi anni. Sono metamorfosi di lunga durata e oltretutto non sempre si va avanti, ma a volte si fa un passo in avanti e due indietro.

Parliamo di lavoro. Non sono rari episodi di colloqui lavorativi ai limiti della legalità, durante i quali vengono poste alle candidate domande sulla vita privata e sul desiderio di costruire una famiglia. Difficile opporsi per la paura di perdere un’occasione, in un panorama tanto complesso. E allora come agire?

Succede molto spesso. Se le donne fossero più unite, potrebbero ottenere molto di più. Ma la storia ci ha abituate alla riservatezza e ai sensi di colpa, per cui facciamo fatica e organizzarci per chiedere più libertà e più diritti. Di fronte a richieste collettive, sia i politici che coloro che detengono privilegi cedono più facilmente. Se si è isolate e sole non si ottiene nulla.

Nonostante siano mediamente più istruite dei colleghi uomini, le donne hanno meno accesso al mondo del lavoro, poche occupano ruoli dirigenziali e a parità di mansioni sono meno retribuite. Come si può impedire questa discriminazione? Con quali strumenti?

La legge che abbiamo conquistato impone parità di salari, ma purtroppo funziona solo con i lavori pubblici. I privati derogano dalla legge e impongono misure restrittive ingiuste. Comunque, per ottenere qualsiasi giustizia bisogna unirsi e fare pressione in maniera corale e collettiva. Qualsiasi miglioramento si ottiene prima di tutto attraverso la consapevolezza dei diritti e poi con l’organizzazione pacifica e intelligente della protesta, come hanno imparato a fare i sindacati.

I tempi sono cambiati e oggi tante donne scelgono di non essere madri. Una decisione percepita ancora, però, come un elemento di stranezza…

Credo che le donne che scelgono di non fare figli siano più intelligenti e profetiche di quello che si pensa. Capiscono che siamo troppi in questo mondo che si sta avviando verso la estinzione della specie umana e giustamente si astengono. È un atto di responsabilità, non di egoismo. Lo so che i politici vorrebbero tanti figli. Ma sono miopi, perché pensano solo all’immediato e all’oggi. Con uno sguardo più allargato e rivolto all’interesse della comunità intera, si capisce che dobbiamo assolutamente diminuire le nascite. 

Passiamo ai diritti. Si sta discutendo tanto di aborto. Grazie alla legge 194 in Italia la donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. C’è chi invece ritiene opportuno aiutare economicamente chi sceglie di non interrompere la gravidanza. Lei cosa ne pensa?

Sull’aborto ho le mie idee che ho scritto dettagliatamente anni fa sul mio libro ‘’Un clandestino a bordo”. Io ritengo che l’aborto non sia un fine ma un momento di passaggio dalla coercizione alla responsabilità. L’unica alternativa a un atto di violenza contro il corpo femminile e contro un progetto di vita è la maternità responsabile. Le donne che non hanno mai avuto il diritto alla gestione del proprio corpo chiedono l’aborto, ma nessuna donna ama abortire. In una società costruita a misura di donna, infatti, l’aborto non esisterebbe. Le donne avrebbero trovato il modo di gestire la capacità di dare la vita secondo i propri interessi e non secondo quelli di una società patriarcale. Proprio quella società patriarcale che, proibendo gli anticoncezionali e creando una serie infinita di tabù sessuali, ha impedito alle donne di gestire la propria capacità generativa.

Quella dei diritti, individuali e universali, è una delle grandi sfide che abbiamo davanti. Come coinvolgere i più giovani in questa “battaglia di civiltà”? 

I giovani lo sanno benissimo, solo che viviamo in un mondo che non considera importante la volontà dei giovani, non pratica la meritocrazia; infatti appena possibile li manda fuori, non dà loro lavoro e li mortifica con stupidi rituali tecnologici.

 

di Martina Bortolotti