Crisi climatica: non dobbiamo salvare il Pianeta ma l’uomo

C’è chi parla di “emergenza”, chi la definisce “crisi”, chi più moderatamente parla di “cambiamento”. Il clima è ormai sulla bocca di tutti, riempie le pagine dei giornali, spopola tra gli argomenti più chiacchierati e di cui più si avverte l’urgenza e, da qualche anno, è protagonista dell’agenda politica italiana, europea e mondiale. Se un tempo potevamo far finta di niente, oggi no. L’emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti. Un fenomeno che non si può più negare e nemmeno ignorare e che ha portato la politica a una dovuta responsabilizzazione, richiesta a gran voce dall’opinione pubblica. A mobilitarsi in questi anni sono stati soprattutto i giovani, a partire da Greta Thunberg, ormai divenuta simbolo della lotta al cambiamento climatico, insieme a movimenti giovanili e studenteschi come quello di Fridays for Future.

Cosa sta succedendo esattamente:

In sostanza, a causa della forte accelerata dell’attività economica e industriale dell’uomo nell’ultimo secolo e mezzo, che ha provocato una concentrazione dell’emissione di CO2, la temperatura media del pianeta è aumentata di oltre 1°C dall’epoca pre-industriale, accelerando importanti trasformazioni dell’ecosistema che si verificano solitamente in migliaia di anni: scioglimento dei ghiacciai, innalzamento degli oceani, desertificazione, perdita di biodiversità e fenomeni estremi come venti, neve e ondate di calore. Proseguire in questa direzione, senza variare il nostro modello economico, provocherebbe un ulteriore innaturale innalzamento della temperatura. Per questo, con l’Accordo di Parigi del 2015 tutti i Paesi accettarono di collaborare per limitarne l’aumento ad un massimo di 1,5°C, con dei piani nazionali volti a ridurre le proprie emissioni. Ma gli impegni presi finora sono assolutamente insufficienti per raggiungere l’obiettivo prefisso.

A cosa stiamo andando incontro:

Ma cosa significa tutto questo? Quali sono le conseguenze dirette e indirette di un innalzamento rapido della temperatura del Pianeta? Ecco a cosa stiamo andando incontro:

  • Scioglimento dei ghiacciai
  • Innalzamento dei mari di diversi metri
  • Calamità naturali: uragani, alluvioni, incendi, inondazioni
  • Ondate di calore estreme
  • Siccità e desertificazione
  • Scarsità di acqua
  • Carestie
  • Devastazione degli ecosistemi: l’impatto sugli oceani e l’estinzione di diverse specie animali
  • Spostamenti di popolazioni sfollate, flussi migratori ingestibili e incontrollabili

Non è uno scenario da film post-apocalittico, sono semplici conseguenze scientifiche di ciò che un rapido innalzamento della temperatura provocherebbe sul Pianeta.

Cosa dobbiamo fare:

Dobbiamo dimezzare le emissioni globali di CO2 entro il 2030 e azzerarle entro e non oltre il 2050, mettendo in piedi un sistema “a zero emissioni”. Se si dovesse continuare ad emettere CO2 ai ritmi odierni, ci si attende che la temperatura del Pianeta superi il grado e mezzo entro pochi anni. Un aumento, ad esempio, di 2°C sarebbe assai più pericoloso per il genere umano, la biosfera e le economie.

Cosa fare per raggiungere l’obiettivo:

  • Accelerare il processo di fuoriuscita dal carbone
  • Ridurre la deforestazione e, al contrario, riforestare
  • Accelerare la transizione verso veicoli elettrici
  • Incoraggiare gli investimenti nelle energie rinnovabili
  • Mobilitare i finanziamenti

Nel frattempo alla Cop 26…

Intanto a Glasgow, nel Regno Unito, nelle scorse settimane si sono riuniti quasi tutti i paesi del mondo per discutere di clima e raggiungere un accordo su come affrontare i cambiamenti climatici. La cosiddetta Cop26, ovvero “Conferenza delle Parti”. In questa occasione, ogni Paese ha presentato un aggiornamento del proprio piano nazionale per la riduzione delle emissioni di CO2. L’opinione pubblica, i movimenti, le associazioni erano in fibrillazione per sapere cosa sarebbe uscito dalla discussione tra i massimi rappresentanti del mondo sulla più grande emergenza di quest’epoca. E ciò che ne è uscito risulta agli occhi di molti insufficiente.

Gli impegni presi:

  • Non si parla più di eliminazione dell’uso del carbone (il combustibile fossile più inquinante) bensì di “riduzione”.
  • Tutti i paesi si sono impegnati a rafforzare i propri obiettivi nazionali (NDC, Nationally Determined Contributions) di riduzione delle emissioni da qui al 2030. E a rivederli ogni anno, invece che ogni cinque anni.

Poi sono stati presi alcuni “accordi settoriali”, ovvero accordi che non coinvolgono tutti i paesi partecipanti ma solo gruppi di paesi. Tra quelli più consistenti e rilevanti ci sono:

  • Lo stop alla deforestazione entro il 2030, firmata da più di 100 paesi
  • La riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030, firmata da 108 paesi (hanno aderito, tra gli altri, Stati Uniti e Unione Europea, ma sono rimasti fuori alcuni grossi paesi produttori di metano, come la Cina, l’India e la Russia)
  • La completa sostituzione degli autoveicoli attuali con quelli elettrici tra il 2035 e il 2040, firmato da 22 paesi (non l’hanno tuttavia firmata i principali paesi produttori di auto: Germania, Giappone, Stati Uniti, Cina)

Gli impegni NON presi:

  • Si era parlato della possibilità che i paesi più ricchi (e più responsabili della crisi climatica) istituissero un fondo per aiutare gli stati più poveri e più colpiti dal cambiamento climatico. Richiesta respinta. Questo impegno è stato annullato.
  • Non sono stati in alcun modo presi in considerazione interventi per limitare l’estrazione di petrolio e di altri idrocarburi.

Perché non è sufficiente:

Gli obiettivi prefissi non sono sufficienti a rispettare l’obiettivo dell’aumento della temperatura globale di 1,5°C. A rilevarlo sono i modelli matematici presentati durante il vertice che mostrano che, anche se tutti gli Stati mantenessero alla lettera gli impegni presi, avremmo comunque un aumento di temperatura intorno ai 2,4°C. Un aumento sopra la soglia del grado e mezzo avrà effetti gravemente dannosi per l’umanità. Eventi meteorologici estremi si presenteranno con maggiore frequenza e maggiore intensità: alluvioni, incendi, ondate di calore estremo, ma anche scioglimento dei ghiacciai con tutto ciò che comporta per le aree che si trovano a pochi metri sopra il livello del mare.

In Italia:

Intanto, anche in Italia ci si organizza. È nato proprio il febbraio scorso il Ministero della Transizione Ecologica con il preciso obiettivo – tra gli altri – di governare il processo di transizione ecologica del Paese, soprattutto nel settore dell’energia. Per farlo, il Pnrr ha stanziato ben 68,9 miliardi di euro per la “rivoluzione verde”. L’obiettivo è non solo quello di riparare i danni economici e sociali causati dalla pandemia, ma soprattutto gettare le basi per un’Europa più moderna e sostenibile.

Ecco quali sono i punti chiave della Missione 2 del Pnrr, appunto, la transizione ecologica:

  • Economia circolare. Senza sprechi di risorse naturali. A partire dalla gestione dei rifiuti, rafforzando le infrastrutture per la raccolta differenziata e sviluppando nuovi impianti di trattamento dei rifiuti.
  • Agricoltura sostenibile. Riducendo l’impatto ambientale in una delle eccellenze italiane.
  • Energie rinnovabili. Incremento delle energie rinnovabili, mobilità sostenibile, decarbonizzazione di alcuni segmenti industriali, adottando soluzioni basate sull’idrogeno. Rafforzamento della ricerca nelle aree più innovative (fotovoltaico, idrolizzatori, batterie per il settore dei trasporti, ecc.)
  • Efficienza energetica degli edifici. Già avviato dall’attuale “Superbonus”. Una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni in Italia.
  • Tutela del territorio. Interventi di prevenzioni contro i rischi idrogeologici, salvaguardia delle aree verdi e della biodiversità, ecc.

Si legge nel Pnrr che “l’Italia ha un patrimonio unico da proteggere, un ecosistema naturale, agricolo e di biodiversità di valore inestimabile, che rappresentano l’elemento distintivo dell’identità, la cultura, la storia e lo sviluppo economico presente e futuro” del nostro Paese. Inoltre, è maggiormente esposta ai rischi climatici, data la configurazione geografica.

Serve una radicale transizione ecologica, nazionale e globale, per mitigare le minacce all’ambiente ma ancor prima all’uomo. Senza un abbattimento sostanziale delle emissioni, “il riscaldamento globale raggiungerà i 3-4°C prima della fine del secolo, causando irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socioeconomici”.

 

di Martina Bortolotti