Case, costi alle stelle? Italia guardi al “modello Vienna”

L’esperto: edilizia residenziale pubblica e affitti controllati per affrontare questione abitativa

Marco Peverini è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy, con una borsa sostenuta dal Consorzio Cooperative Lavoratori di Milano. Si occupa della relazione tra politiche abitative e città, con particolare riferimento al tema dell’housing affordability, e dal 2022 è ricercatore nell’Osservatorio Casa Affordable (OCA) di Milano Metropolitana. È membro del Collettivo per l’Economia Fondamentale e coordinatore del gruppo Social housing: institutions, organisation, and governance del European Network for Housing Research (ENHR).

Dal Rapporto sul consumo di suolo del 2022 si rileva che l’uomo consuma 7 mila ettari di suolo ogni anno attraverso la costruzione di strade, edifici, infrastrutture. Qual è il peso e quali gli effetti di questa attività? 

Il consumo di suolo provoca una serie di gravi conseguenze. Alcuni economisti hanno iniziato a quantificare il costo che l’antropizzazione del suolo ha nel presente e nel futuro in termini di perdita  di servizi che l’ecosistema che lo costituisce eroga quotidianamente, e gratuitamente. Tra gli esempi, l’immagazzinamento dell’anidride carbonica, la produzione alimentare, la possibilità di ottenere biomassa che assorbe anidride carbonica, senza dimenticare la dimensione culturale che fa  riferimento al paesaggio, al benessere umano.

Abbiamo bisogno di un processo di edificazione così massiccio e invasivo? 

Non ne abbiamo assolutamente bisogno. L’Italia in  particolare ha cifre molto elevate di suolo consumato pro capite e di superficie residenziale pro capite. Abbiamo un passato e un presente di spreco edilizio, di ridondanza di costruzioni rispetto all’effettivo bisogno, con un portato di vuoto e di sottoutilizzo che fa da contraltare. La nuova edificazione con consumo di suolo dovrebbe essere sostanzialmente vietata nella stragrande maggioranza dei casi e autorizzata solo per impellenti bisogni non altrimenti realizzabili. Utilizzare meglio l’esistente è assolutamente una priorità: la rigenerazione urbana, rispetto all’ampliamento, è un cambiamento non più procrastinabile. La questione da mettere in primo piano, in questo cambiamento culturale, è una transizione che sia eco-sociale: accompagnare misure che stratifichino la transizione ecologica, ad esempio annullare se non addirittura rendere negativo il consumo di suolo, con misure di redistribuzione della ricchezza e del reddito perché quello di cui ci si sta accorgendo sempre di più è che nella transizione ecologica di “mercato” la conseguenza non attesa è il fatto che spesso i benefici tendono ad essere maggiormente elevati per chi già ricco. E’ necessario far sì che le misure di transizione ecologica siano di fatto anche delle misure di redistribuzione del reddito  e della ricchezza, verso il basso.

Il tema dell’housing affordability, “l’abbordabilità della casa”, che mette in relazione i costi abitativi con i redditi e la capacità economica, è sempre più prepotentemente d’attualità. Perché ciò sta accadendo? Quali sono i dati più recenti?

L’abbordabilità della casa è un fronte in cui questo trade off ecosociale si vede più che in altri settori. Se pensiamo alla storia più recente dei sussidi alla ristrutturazione (ecobonus prima, superbonus poi) l’evidenza econometrica rivela che queste misure hanno avvantaggiato maggiormente i redditi più alti. In Italia non abbiamo mai approfondito quali sono le conseguenze in termini di aumento dei prezzi e quindi di difficoltà più forti per le fasce più basse di reddito ad accedere al patrimonio che è energeticamente più performante e meno energivoro. Seppur ampliando la platea con la cessione del credito, le prime evidenze che cominciano ad arrivare confermano l’impostazione regressiva del Superbonus, sebbene questa misura sia comunque risultata un po’ più progressiva delle altre, come riferisce la recente analisi dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. La soluzione dovrebbe consistere nell’accompagnare al processo di efficientamento energetico del patrimonio residenziale misure di accesso alla casa e di redistribuzione del valore residenziale. 

Cosa significa mantenere una casa, di proprietà o in affitto?

Il tema della capacità di accedere ad un’abitazione, della sostenibilità e capacità di mantenerla sta diventando sempre più importante anche perché con la polarizzazione economica in poche realtà attrattive (le città metropolitane, ma anche i luoghi turistici), e con l’aumentare del fenomeno della finanziarizzazione della casa, sempre più considerata come veicolo di investimento più che come qualcosa di funzionale all’abitare, in certi contesti è lo stesso ceto medio a faticare sempre di più. Senza ovviamente dimenticarsi che le fasce più deboli economicamente sono in difficoltà praticamente da sempre, e in qualunque contesto. La proprietà piena della casa (ereditata o acquistata con risorse proprie) porta ad un peso economico molto più leggero su chi ci vive; invece l’acquisto con mutuo e ancor di più l’affitto in regime “libero” sono le situazioni che pesano di più sui redditi. Specularmente, il peso economico è stratificato in modo differente: è sempre più forte, ad esempio, sui giovani, che tendono ad avere un mutuo da sostenere, lo è ancor di più sui redditi più bassi, in cui è molto più frequente l’affitto. I due fenomeni si sommano e si autoalimentano.

Quale è il ruolo dell’edilizia residenziale pubblica, in Italia e all’estero? 

In Italia rimane lo strumento attualmente più importante con cui lo Stato, il pubblico, può affrontare la questione abitativa nei confronti delle fasce economicamente più deboli. E’ un settore che è stato definanziato, e che ha addirittura visto dei tentativi di dismissione, che oggi ha bisogno di un forte reinvestimento politico, culturale ed economico. L’investimento nell’edilizia residenziale pubblica ha un ritorno sociale maggiore ma non può bastare: bisogna ritornare a parlare di forme di regolamentazione del patrimonio privato residenziale, sia in termini di redistribuzione della proprietà attraverso forme di tassazione, sia in termini di regolamentazione dei contratti di affitto, soprattutto dei canoni. Laddove si mettano in atto politiche di rigenerazione con dell’investimento pubblico che porta valore a delle abitazioni, pensiamo all’apertura di una fermata della metropolitana, questo valore va in qualche modo recuperato o tassando il valore redistribuendo alle fasce più basse o calmierando i prezzi di affitto.

Perché le nuove generazioni sono sempre più in affanno? 

In Italia la quota di ricchezza che viene dal risparmio proveniente dal lavoro, rispetto a quella che si accumula per eredità si sta assottigliando. La componente dell’eredità sta diventando molto più importante nell’accumulazione della ricchezza: questo segna un passaggio da un’economia in cui attraverso il lavoro si poteva percorrere l’ascensore sociale ad un’economia, che molti giovani stanno sperimentando, in cui se non c’è una componente di ricchezza familiare da trasferire quella condizione dell’ascensore sociale non si realizza. Si tratta di un fenomeno che si verifica in molti contesti del mondo: nei Paesi anglosassoni si parla di “generazione in affitto”, che cioè non riesce a concretizzare la propria condizione economica e quindi la stabilità. L’Italia, che fa parte dei Paesi “mediterranei” europei, presenta dei tratti comuni anche con qualche Paese nordico, come la Norvegia. La differenza sta nel fatto che in Norvegia c’è una forte componente di redistribuzione che passa attraverso i servizi, con una componente “monetaria” di sostegno che in Italia è assente, fatte salve le pensioni, mentre altri Paesi magari hanno delle condizioni di welfare simili alle nostre ma posseggono quote e misure di edilizia sociale, quale può essere l’affitto calmierato, molto più elevate delle nostre. E’ il caso della Francia, ad esempio, dove il peso dei costi abitativi sulle fasce più deboli è molto più leggero perchè una buona parte delle case in affitto sono “controllate”. Oppure si può fare riferimento a quanto accade a Vienna, dove quasi silenziosamente nell’ultimo secolo la casa è diventata un’infrastruttura pubblica: nella capitale austriaca la metà delle abitazioni sono o in mano pubblica o direttamente sotto controllo pubblico attraverso forme di regolazione. Un’ulteriore percentuale, abbastanza importante, pur essendo privata è in affitto controllato. E’ un sistema in cui da un punto di vista intergenerazionale è possibile realizzare una condizione abitativa che non è legata alla considerazione della casa come un investimento finanziario. L’assegnazione delle case è legata a un reddito che però è molto alto, quindi praticamente l’80% dei viennesi sono eleggibili per l’edilizia pubblica. In questo modo si neutralizzano tante delle contraddizioni del sistema di libero mercato dell’abitazione. Non potendo produrre case come si producono smartphone, ed essendoci una condizione di sostanziale oligopolio di segmentazione della proprietà delle abitazioni, accade che in una condizione di libero mercato puro si venga a creare una simmetria di potere tra chi possiede e chi no. L’infrastruttura abitativa viennese collettivamente controllata, invece, fa sì che anche i costi dell’abitare rappresentino un tema di discussione pubblica in cui le autorità devono rispondere ai bisogni e alle necessità della popolazione. La “casa abbordabile” è, infatti, uno dei temi principali del dibattito politico viennese: auspico che anche in Italia si possa presto parlare apertamente di questo grande tema di transizione sociale ed ecologica, verso città più accessibili e vivibili. 

Per approfondire: Audizione sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti d’imposta | upB (upbilancio.it) 

di Valerio Ceva Grimaldi