Un viaggio nelle ragioni dietro un gesto irreversibile che investe gli agenti di polizia penitenziaria. Le condizioni del carcere influiscono? E con il Covid come sono andate le cose? Ne abbiamo parlato con Cerchio Blu.
Sessanta poliziotti penitenziari dal 2013 a oggi si sono tolti la vita, oltre trecentocinquanta se allarghiamo lo sguardo a tutte le altre forze di polizia. Sono numeri che emergono dai dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, incrociati con il monitoraggio condotto dall’Osservatorio nazionale suicidi nelle Forze dell’ordine di Cerchio Blu, un progetto di analisi e elaborazione di dati attraverso un programma dedicato alla ricerca e al monitoraggio dei suicidi tra gli appartenenti alle forze dell’Ordine italiane. Per capire la portata tragica di questo fenomeno, per cogliere il nesso tra carcere e suicidio, abbiamo parlato con Graziano Lori, presidente dell’associazione Cerchio Blu.
Le cause di suicidio: inclinazione alla malattia mentale oppure forte stress.
“I fattori che possono influire nella ‘scelta’ di togliersi la vita – racconta Lori – si dividono in predisponenti o precipitanti. I primi possono essere, ad esempio, le malattie mentali ma anche, come dimostrano alcuni studi, una certa inclinazione. I secondi, quelli precipitanti, sono invece contestualizzabili in momenti della vita e che sono connessi, ad esempio, con traumi di varia natura oppure legati all’attività professionale”. Ed è qui che emerge con forza l’unicità del lavoro di poliziotto penitenziario: “Chi svolge attività nelle forze dell’ordine è sottoposto a forti livelli di stress – osserva Lori -, che può essere di tipo organizzativo ma anche traumatico, ovvero durante l’attività professionale puoi essere vittima diretta o indiretta di un trauma”. Se immaginiamo il lavoro nelle sezioni carcerarie possiamo facilmente capire quanto questo trauma sia la quotidianità: “Sedare o trovarsi in una rissa, vedere morire o addirittura rischiare di morire, sono eventi traumatici che possono influire sul benessere di una persona”.
L’85% dei suicidi avviene con l’arma di ordinanza. Si fa formazione tecnica ma non psicologica ed emotiva.
Se questi sono gli agenti, endogeni ed esogeni, di una scelta irreversibile, lo strumento attraverso il quale si compie quest’atto è da analizzare: l’arma di ordinanza. “L’arma è uno strumento di lavoro – fa sapere Lori – ma se viene fornita una formazione tecnica nel suo utilizzo non altrettanto viene presa in considerazione la formazione psicologica ed emotiva, ovvero quella che sottende il rapporto tra lavoratore e arma”. I dati, infatti, ci dicono, in questo caso, che in circa l’85% dei casi il suicidio si fa con l’arma di ordinanza, con lo strumento di lavoro, e in larga parte nel luogo di lavoro, ovvero in carcere.
Il Covid ha giocato un ruolo nella piaga dei suicidi?
Il Covid, la costrizione negli spazi legata al lockdown, quanto ha influito nella piaga dei suicidi tra i poliziotti penitenziari? Secondo Lori dati certi ancora non se ne hanno ma alla luce di una sua empirica valutazione osserva: “Non credo che il periodo pandemico abbia influito in negativo. Penso che le forze di polizia tutte si siano sentite coinvolte nella gestione della fase pandemica e un lavoratore soddisfatto del proprio lavoro allontana le fonti di stress che potrebbero colpirlo. Ed è quello che credo si avvenuto”, conclude Lori.
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