Un mese di maggio dove la sapienza artigiana e gli eco-sistemi produttivi continuano a prendersi la scena. O almeno così pare, a leggere in filigrana quanto succede in almeno due contesti differenti, in continuità con quanto celebrato per tutto aprile e fino al primo maggio a Venezia con la mostra dell’alto artigianato internazionale ‘Homo Faber’ alla Fondazione Cini: quello di Torino con le Officine Grandi Riparazioni che aprono al ‘caso’ dell’azienda Hermès con l’esposizione itinerante ‘in the making’ e Caselle in Pittari dove Jepis Bottega apre i suoi spazi, lato alpha e lato beta, per condividere un anno di lavoro per il suo progetto ‘Scritte’.
Per un grande e consolidato brand d’oltralpe come Hermès e una piccola realtà del territorio interno cilentano come Jepis Bottega e il suo ‘Scritte’, l’attenzione è rivolta alla cultura artigiana, in quanto ossatura di un tessuto produttivo che va reso più visibile e valorizzato perché è quello che sostanzia i territori e li fa ricchi di un sapere che si genera attraverso il fare e la capacità di chi professionalmente unisce alla passione e alla sapienza per la ‘fabbricazione’ anche l’attenzione ai materiali, ai contesti, ai valori sociali e alla ricerca e l’innovazione continua. Si tratta di un’attenzione che riguarda e vede attive piccole e grandi imprese: vuol dire dunque che c’è una necessità diffusa di investire perché il modello artigianale, i suoi valori e in particolare il significato riconosciuto al lavoro di ciascuno coinvolto nella filiera, sia di nuovo considerato prezioso, tanto da intercettare i giovani in formazione e generare il loro interesse. Questa attenzione alla cultura produttiva artigianale e manufatturiera è da leggere come il segno di un forte bisogno di coltivare proprio i più giovani e chi è necessario alla crescita e allo sviluppo di qualsiasi impresa. Coltivarli attraverso una formazione che sia in grado di qualificare in senso pedagogico ed esistenziale pieno il fare, e recuperare il significato del modello professionalizzante della bottega come necessario per una conoscenza da coniugare alla cura del gesto artigiano.
A Torino e a Caselle in Pittari, Hermès come ‘Scritte’ di Jepis Bottega, fanno parlare i loro casi concreti mettendosi in gioco per rivelare cosa c’è dietro i loro prodotti e le loro attività creative e produttive. Il loro investimento va nella direzione della costruzione di un immaginario collettivo che impari a guardare ed apprezzare la complessità, e la bellezza, dei processi. Questi due appuntamenti del mese di maggio riferiti a storie aziendali, invitano a rileggere la geografia dei territori del nostro Paese ricostruendone una mappa che restituisce un giusto peso e spazio alle attività produttive che vi sono insediate e che ne costituiscono risorsa e capitale sociale. Parlare di qualità e di catena del valore significa partire dai territori e dalle persone riconoscendo l’importanza delle rispettive vocazioni produttive. Su quelle vocazioni si possono consolidare nel tempo strategie di sviluppo che passano anche per la qualità della formazione che fa fare un salto di qualità alle persone e alla loro operosità.
Questo mese di maggio e l’opportunità da Torino a Caselle in Pittari di conoscere più da vicino realtà come quella di Hermès e Scritte, può far rintracciare elementi metodologici significativi soprattutto a chi sta disegnando le prossime politiche industriali coniugate a quelle di sviluppo territoriale e di ripresa sociale ed economica attraverso gli strumenti e i finanziamenti del PNRR. Anche realtà molto piccole come Scritte e l’ecosistema produttivo creato da questo giovane progetto nel territorio cilentano da una realtà come Jepis Bottega, ci dimostra che la dimensione ‘laboratoriale’ e artigianale ha già un naturale orientamento all’innovazione e alla collaborazione. Si tratta di un modello che unisce le attività produttive con quelle di sviluppo territoriale, grazie ad un uso strategico della comunicazione e del racconto. La narrazione prodotta da Jepis Bottega attinge dalla filosofia contadina per rendere sensibili alla sapienza manufatturiera e alla dimensione sociale dell’impresa. In questo senso, svelare e dare valore a tutto il processo produttivo che c’è dietro ad ogni cosa, anche la scelta delle parole da usare, è ‘operazione’ culturale importante se i luoghi del fare, le botteghe, tornano ad essere parte di un’epica che riconduce ciascuna opera ad una comunità professionale di produttori/autori. La bottega compresa del suo retrobottega, allora, torna ad essere luogo simbolico che dà valore all’opera e al produttore/autore perché è lì, nella Scuola che è anche Fabbrica e nella Fabbrica che è anche Scuola dove pensare e fare ritrovano uno spazio unico e reciproco nutrimento. Allora l’esempio di Jepis Bottega ci ricorda la ricchezza dei territori e delle loro storie, così come Scritte ricorda che ci sono pensieri, come le parole, che passano veloci e altri che invece vanno fermati, vanno scritti, come segno di un segreto rivelato e poi finemente forgiato e firmato. E mi tornano le parole della filosofa Maria Zambrano che dice “Scrivere è difendere la solitudine in cui ci si trova. (…) salvare le parole dalla loro esistenza momentanea, transitoria, e condurle nella loro riconciliazione verso ciò che è durevole”. Dico allora che scrivere suona come crescere, formarsi, farsi operosi e divenire comunità, impresa: con vocazione ad essere durevoli.
Maria D’Ambrosio