Sismondi

Sismondi: “Smart working per valutare i risultati e non la presenza in ufficio”

Arcaica la logica di misurare la qualità del lavoro sulle ore di presenza in ufficio piuttosto che sul raggiungimento dei risultati

La Fp cgil ha lanciato un sondaggio cui hanno partecipato oltre 4.100 dipendenti pubblici. Lo Smart working dovrebbe proseguire anche dopo l’emergenza pandemica? Secondo la maggioranza degli intervistati la risposta è sì. Può lo smart working diventare un’opportunità per il Paese? Lo abbiamo chiesto a Carlo Mochi Sismondi, presidente di ForumPa, la più importante società di servizi e consulenza che da 30 anni si muove nel settore della Pubblica amministrazione.

Dott. Sismondi, secondo lei lo smart working nella Pubblica amministrazione può rappresentare un’opportunità per il nostro Paese?

Lo smart working è certamente una grande opportunità, non solo per i dipendenti, anche per le amministrazioni, perché scardina un’organizzazione del lavoro ancora molto improntata sulla presenza piuttosto che sul risultato, sull’obbedienza piuttosto che sulla capacità di lavorare al meglio. Lo smart working permette di superare alcuni stereotipi: tanto più lavoro quante più ore trascorro in ufficio. Emblema di questa mentalità è il concetto del tornello: l’importante è che io sia in ufficio. La dirigenza si sente rassicurata ad avere i dipendenti vicini e presenti, e questi ultimi non se ne vanno finché non se ne va via il capo. Questo è un modello di lavoro arcaico che non funziona più.

Lo smart working scardina questo meccanismo perché costringe il dirigente a fissare dei risultati da ottenere, chiari, condivisi con i dipendenti e valutabili. Questo non può che portare grandi miglioramenti alla Pubblica amministrazione. Ma perché questo si verifichi si deve costituire un patto di fiducia e di condivisione tra dirigenza e dipendenti. Una volta costruito questo patto poi devono verificarsi altre condizioni: bisogna avere un apparato tecnologico sufficiente per supportare lo smart working e dare ai dipendenti un’adeguata formazione.

Voglio aggiungere una cosa. Lo smart working però non deve diventare uno strumento regolamentato in gabbie rigide. Per sua stessa definizione è uno strumento flessibile, da adattare di volta in volta alle necessità dell’amministrazione. Ovviamente senza abusare di questa flessibilità.

Il parametro della presenza in ufficio per valutare il lavoro svolto sembra una mentalità tutta italiana…

In alcuni Paesi è molto più presente la cultura del risultato ma io direi che più che italiana è una mentalità vecchia. Ancora adesso moltissime amministrazioni non fissano i propri obiettivi. Ma se non lavoriamo sul raggiungimento del risultato che parametro abbiamo per valutare il lavoro? Quante ore abbiamo passato in ufficio. Una modalità totalmente inefficiente e arretrata. Questo poteva valere forse nelle fabbriche di un centinaio d’anni fa.

È inutile che citi Google o Microsoft che sono molto diverse dalla Pubblica amministrazione, ma qualsiasi organizzazione avanzata più che la presenza guarda i risultati. A meno che io non sia un infermiere in corsia o un dipendente allo sportello.

Attenzione però, lo smart working non è un diritto, quello di stare a casa, che il dipendente chiede al datore di lavoro. È piuttosto un’opportunità, tanto per il datore di lavoro quanto per il dipendente, di svolgere il lavoro in una modalità più adeguata per tutti, per il raggiungimento del risultato. Altrimenti snatureremmo completamente lo strumento e la sua potenzialità.

Dott. Sismondi, secondo lei la sfida della riorganizzazione e dell’innovazione della Pa è una sfida che possiamo vincere, anche grazie alle risorse europee in arrivo?

Per carattere sono una persona ottimista e fiduciosa, quindi conto che si possa vincere. Certamente non si vince con i soldi. I soldi sono una condizione necessaria ma assolutamente non sufficiente. Né si vince solo con le leggi. Bisogna avere cura, accompagnamento nell’innovazione, cosa che è mancata per decenni. Io mi occupo di Pa da 32 anni. In 32 anni ho visto passare circa venticinque ministri e decine di riforme che non hanno mai funzionato perché non sono state accompagnate. Ora abbiamo la necessità, abbiamo le risorse e abbiamo chiaro dove dobbiamo andare, perché gli obiettivi di rinnovamento della Pa sono condivisi dalla politica a livello europeo. Saremmo veramente colpevoli se non ci riuscissimo. Ma è importante che ci sia partecipazione, una partecipazione che al momento non vedo. Dobbiamo condividere insieme questa grande opportunità irripetibile. O la cogliamo oppure ne pagheremo le conseguenze per decenni.

 

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