L’esperta: “la manovra del governo ignora completamente la giustizia sociale”

Il 25 ottobre scorso la Cgil ha promosso una grande manifestazione a Roma per chiedere l’aumento di salari e pensioni, maggiori investimenti nella sanità e nella scuola, una vera riforma fiscale, per dire no alla precarietà e al riarmo, sollecitare un’inversione di rotta per il Paese che, però, la manovra 2025 del governo Meloni non fa nemmeno lontanamente intravedere. E il 12 dicembre sarà sciopero generale “contro una legge di bilancio ingiusta”.
Ne parliamo con Maria D’Ambrosio, professoressa ordinaria di Pedagogia generale all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, fondatrice e responsabile del gruppo di ricerca ‘embodied education’, promotrice e referente del partenariato con l’ASL Napoli 1 Centro e del relativo Piano di Azione SmArt Lab condiviso con il Dipartimento di Salute Mentale e la Neuropsichiatria Infantile del Distretto 24 e attuato in collaborazione con Scuole e altre Istituzioni come Fondazione Morra, Fondazione Valenzi, Fondazione Morra Greco; membro del Comitato Scientifico del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica, autrice di volumi e pubblicazioni scientifiche.

Quale è il tuo giudizio su questa legge di Bilancio?

Più che in altri momenti, sento che questa Legge Finanziaria è come uno strano oggetto, come un groviglio, che nessuno è disposto a dipanare ma di cui tutti discutono in luoghi più o meno deputati ad essere spazio di confronto democratico e poi di decisione. C’è forse un’idea di fondo che è diffusa e che provo qui a mettere in crisi perché ci fa guardare alla Legge Finanziaria come a qualcosa di estremamente lontano dalla vita delle persone e troppo tecnico o poco trasparente per essere letto e compreso per chiedere conto di quel testo e dei suoi effetti concreti ai nostri rappresentanti parlamentari che lo discutono per poi approvarlo. Se, come pare trasparire dalla lettura del testo di questa Legge Finanziaria, la giustizia sociale e il bene comune vengono messi completamente da parte. A me pare che anche questa Finanziaria risponda ad una logica di propaganda che utilizza i titoli di ogni articolo di cui si compone come fossero delle generiche dichiarazioni d’intenti che per nulla corrispondono poi alle misure indicate nel relativo e specifico articolo.

Una manovra non si valuta solo per i suoi saldi ma anche per la prospettiva sociale che disegna per il Paese…

A me sembra mancare in tutto il testo della Legge di Bilancio il senso stesso dello Stato: mi sembra manchino cioè i principi della solidarietà e della giustizia sociale e manca il legame all’articolazione dello Stato che opera attraverso Enti e Istituzioni, il cui ruolo risponde al principio della sussidiarietà che garantisce allo Stato di essere concretamente garante dei diritti di cittadinanza e capace di essere vicino a tutti i cittadini. Mi pare siano proprio i diritti di cittadinanza e la loro tutela a sfuggire a chi ha redatto questa Legge di Bilancio. Manca a mio avviso una visione d’insieme. La spesa pubblica va fatta nell’ottica dell’investimento e non ripercorrere logiche da gara al ribasso. Il Bilancio indica investimenti e spese di uno Stato e fa emergere scelte e strategie. Ed ecco che mi preoccupa che manchi tra i distinti articoli della Legge un principio di solidarietà. Solidarietà che potrebbe moltiplicare l’effetto degli investimenti in chiave sociale e pubblica. L’esigibilità dei diritti dei cittadini che passano per infrastrutture e servizi, e quindi per politiche e azioni capillari, è affidata invece alla capacità di destreggiarsi nell’accesso a questo o quel sussidio o finanziamento o sgravio. Comuni e Città metropolitane con le Regioni costituiscono l’ossatura dello Stato e devono poter rispondere in maniera coordinata e integrata ai diritti all’Educazione, alla Salute, alla Mobilità e ai Trasporti, alla Sicurezza e alla Sicurezza Ambientale, al Patrimonio e alle Attività culturali, al Lavoro, alla Ricerca e all’Innovazione Tecnologica e Sociale. Semplicemente solidale e capace di fare di ogni euro speso un moltiplicatore di benessere individuale e sociale come base per la democrazia da rinnovare e nutrire in ogni forma possibile.

Le spese militari aumentano di 12 miliardi nei prossimi 3 anni, secondo il Documento programmatico di Finanza pubblica. 

Vorrei spostare l’attenzione molto al di là dello spirito sovranista e populista che ci governa e che esibisce le spese militari come bandiera per la sicurezza nazionale. Mi voglio spostare su due questioni credo fondanti per la coesione sociale di cui abbiamo tanto bisogno, a mio avviso. Il patrimonio materiale e immateriale che è in capo alle Soprintendenze e a tutte le Istituzioni che fanno capo al Ministero della Cultura può essere quella risorsa su cui investire in maniera capillare perché fa da tessuto connettivo territoriale a quanti vivono nelle piccole o nelle grandi città, vicino al mare, ai fiumi o alle montagne e sentono di poter ‘abitare’ e ‘godere’ di quel patrimonio che costituisce ‘bene comune’, da manutenere e prendere in cura insieme a chi lo vive e lo ‘abita’ quotidianamente. L’attenzione al patrimonio come bene comune incontra necessariamente e riconosce valore all’Educazione, alla Scuola, all’Alta Formazione e quindi anche alla Ricerca che innova pratiche e metodologie insieme ai saperi e alla qualità professionale. Questi due focus potrebbero in qualche modo riuscire a restituire valore anche alle Istituzioni, proprio come bene e patrimonio comune, insieme a chi ha ruolo di rappresentare le Istituzioni così da avere più attenzione ciascuno e tutti nella scelta dei rappresentanti alle diverse cariche istituzionali locali e nazionali, capaci di riportare il dibattito politico su un piano critico e progettuale, lontano dalla mera retorica e dal contagio del mero consenso.

Lavoro, innovazione, conoscenza, giovani, diritti dei più fragili: cosa bisognerebbe fare per invertire la rotta?

Io credo in un paese che reimpari a praticare la democrazia, un paese fatto di maggiori e più diffuse opportunità di incontro e di dialogo, un paese fatto di tante piccole e grandi piazze aperte ad attivare ogni risorsa disponibile ai fini della comunità e del suo convivere. Immagino più spazi multifunzionali e ‘laboratoriali’ dove lo scambio intergenerazionale venga favorito e le idee trasformate in progetto e artefatto. Immagino i Sindaci come i veri garanti dei diritti di cittadinanza e i diritti di cittadinanza da riscrivere attraverso le politiche e i servizi territoriali. In questo senso, già la riforma del Welfare introdotta dalla Legge 328 del 2000, con i suoi 25 anni di età, ci dice di una visione sistemica e integrata tutta ancora da attuare, compreso lo scomparso Fondo Nazionale delle Politiche sociali.

 

Valerio Ceva Grimaldi